Si presenta con una (s)piacevole copertina arancio/nera l’esordio discografico dei russi The Sullen Route. L’uscita -nemmeno a dirlo- è stata prodotta dalla Solitude Productions, l’etichetta release dopo release, sapeva certamente come monopolizzare l’acceso “revival” extreme doom avvenuto attorno al 2010.
Anche in questo caso la label pesca -ovviamente- in casa propria, e come spesso accade i fatti stanno lì a darle ragione. Madness of My Own Design è un debutto dal discreto spessore, un debutto che getta le basi per un roseo futuro. Fa quasi impressione constatare di essere davanti alla prima produzione in assoluto di questa formazione, nessun demo, nemmeno qualche classico split di rodaggio, niente di niente. Non ci troviamo innanzi chissà quale capolavoro, ma almeno un buon disco capace di dire la sua in un vasto panorama doom/death si.
Questa volta vorrei partire elencando la componente negativa, questa risiede in una sorta di monotonia (o slegatura fra le parti) che potrebbe annoiare l’ascoltatore già prima di metà disco. Il muro sonoro messo in atto dai The Sullen Route è perciò massiccio e annichilente, concede molta poca aria e questa sorta di asfissia potrebbe finire col catturare o ingannare diverse persone (sicuramente i meno attenti o meno avvezzi al genere che ci capiteranno sopra per sbaglio). Il rischio di arrivare alla fine praticamente esausti è diciamo più che concreto.
I più valorosi invece riusciranno ad abbattere tale barriera e godere di Madness of My Own Design in tutta la sua interezza, passaggio per passaggio, visto che -almeno da parte mia- non posso segnalare pezzi poco convincenti. Trattasi di un unico blocco dalle impercettibili variazioni, assenza di respiro che ruba l’ispirazione della prima mutazione Katatonia, quella che comprende Brave Murder Day e l’ep Sounds of Decay giusto per specificare meglio. Chi rimpiange quello splendido periodo non potrà di certo sottrarsi al fascino messo in scena dai giovani russi, e come me potrà apprezzare l’operato genuino e ricco di quel suo tipico ed oscuro fascino.
Le loro caratteristiche sono un growl “grattato” e profondo, e l’imponente muro ritmico messo accuratamente lì a stagnare, una certa pulsazione rimane a vagare furtivamente, anche se non trancia mai di netto la questione. La parte fondamentale (quella capace di avvicinarli ai Katatonia) risiede in quelle chitarre melodiche che si distaccano dal resto, e scenari di notevole tristezza verranno presto dipinti davanti i nostri occhi.
Quello che sto -malamente- cercando di dire è ben rappresentato dalle prime due canzoni in scaletta, Dagon e Gates (ma nemmeno My Autumn Call non scherza), due ottimi biglietti da visita e composizioni a cui dare almeno due ascolti di rodaggio prima di esprimersi a riguardo. La terza I Come With The Rain è dotata di un crescendo emozionante e ci mostra radici sonore un poco più antiche, inquadrabili nei cari e vecchi Paradise Lost.
Nella loro musica ho riscontrato anche due “influenze” non dominanti ma che mi andava comunque di citare, la prima è una latente sensazione stoner, l’altra è la presenza molto vaga dei primi Amorphis, specialmente per qualche partitura melodica, nello specifico li ho avvertiti proprio nella strumentale Sullen Route.
Infine capitoli da menzionare sono la title track (canzone dal grande crescendo) e One Way For Burning, la più lunga con i suoi dieci minuti che non a caso distribuiscono un livello d’ossigeno leggermente maggiore rispetto al resto (forse un piccolo premio per essere riusciti a giungere fin qui?).
Madness of My Own Design merita di stare nella sempre più crescente collezione di ogni “extreme doomster” che si rispetti. Un nome che va segnato nel taccuino e ricordato di tanto in tanto. Consigliato solo a chi è solito “spendere del tempo” per analizzare e riflettere, o per chi ha la pazienza di saper pazientare.
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Summary
Solitude Productions (2010)
Tracklist:
01. Dagon
02. Gates
03. I Come with the Rain
04. My Autumn Call
05. Sullen Route
06. Madness of My Own Design
07. No Memories, No Matter
08. One Way for Burning