Shrine of the Serpent – Shrine of the Serpent

Ottima davvero la mezz’ora passata in compagnia dell’omonimo ep firmato dagli Shrine of the Serpent (partorito durante i primi mesi del 2015). Il primo passo di questi americani è stato senza alcun dubbio una grande/piccola scoperta, una di quelle in grado di farti rizzare le antenne la volta che incontrerai –si spera- nuovamente il loro monicker lungo la strada.

Il death-doom degli Shrine of the Serpent è chiaramente, volutamente obsoleto, ma vede la sua più grande fortuna proprio grazie al taglio impresso da chitarre pachidermiche e macilente. Un mefitico, maestoso, mortifero incendere che tutto è destinato a pigliarsi nel corso dei possenti minuti protagonisti. Sono uscite come questa che ti fanno capire una volta di più come la “classica semplicità” arrivi sempre e in ogni caso a pagare (ci sono cose che aldilà del loro valore ti si incastrano dentro a forza). Ovviamente il loro particolare “fare cerchio” aiuta e neppure poco, l’ascoltatore non verrà difatti abbandonato alla deriva ma quasi accompagnato passo dopo passo all’interno di una claudicante marcia magnetica, il tutto mi viene da dire oltre ogni più rosea aspettativa.

“Echi magmatici” che sposano imponenti rimbombi, saremo presi schiavi di un patibolo subito ben accetto, guidati da una prestazione vocale a ben sentire non poi così estrema come si potrebbe inizialmente pensare. C’è un che di sacro tatuato sopra, impresso a regola d’arte sulle prime note composte da questa band; accorgersene non sarà invero troppo difficile lungo i tre brani scelti per l’occasione, tutti e tre sono belli in egual misura e non faranno mai spegnere il lume dell’entusiasmo. Finirà che ne vorremmo ancora (ebbri di quel riffing), sarà solo questo il più grande rammarico trovato su Shrine of the Serpent, per il resto niente da appuntare, nulla per cui lamentarsi se non per la consueta dannazione che ci spinge con puntualità a seguire le traccie di questi nascosti ma anche tanto interessanti prodotti.

Chiedere di meglio da un micro-esordio del genere è forse follia, nient’altro che follia. Aspettiamo scodinzolanti buone nuove.

Summary

Parasitic Records (2015)

Tracklist:

01. 9 Gates of Shadow
02. King in Red
03. Gods of Blight