Shining – IX, Everyone, Everything, Everywhere, Ends

Shining – Everyone, Everything, Everywhere, Ends: la quiete disturbata

Nuovo album per gli Shining di Niklas Kvarforth e, come da copione, pioggia di nuove – o infinite – discussioni pronte a cadere gratuitamente dall’alto. Ognuno potrà tirare giù le proprie ragioni e verità, ma difficilmente qualcosa scalfirà quel preciso punto di vista.

Probabilmente, dopo l’impennata dovuta al “fattore novità”, il percorso degli Shining sta vivendo una fase di profonda stasi. La formazione si è adagiata, scegliendo di non sfondare ulteriori barriere, come a voler dire che le porte abbattute in passato sono, per ora, più che sufficienti. Questa scelta evidenzierà il vero “follower” della band. Chi ha deciso di abbracciare la loro pacata progressione sonora si sentirà a casa; gli altri, più svelti a voltare le spalle, li accuseranno con i soliti paroloni di facciata. Forse perché, in passato, si erano fatti irretire più dal clamore della novità che dalla proposta musicale in sé.

Ma Shining è da sempre sinonimo di “opposti”, e tutto ciò fa parte del loro gioco, del loro mondo, della loro ricerca di una luce solo apparente. Per quanto mi riguarda, questo nono capitolo, Everyone, Everything, Everywhere, Ends, si lascia ascoltare con piacere. Certo, se volessimo metterci a fare paragoni scomodi con i lavori più noti, il discorso cadrebbe subito. Ma, nel suo piccolo, riesce a regalare soddisfazione. Una soddisfazione “limitata”, perché per scrivere un altro grande album nello stesso stile, bisognerebbe semplicemente superarsi, e – si sa – ciò che viene prima è quasi sempre meglio, anche solo per quel sapore unico e irripetibile.

Dolore filtrato e catarsi sommessa: sei brani da assorbire lentamente

Se si riescono a superare questi meccanismi mentali, allora questo nuovo nato può essere apprezzato in ogni sua parte. Sei brani – i “soliti” lamentosi pezzi – che urlano dolore represso, grossi e saturi come un panno che ha raggiunto il suo limite massimo di assorbimento.

Da un lato, mi verrebbe da dire che mai quaranta minuti di Shining sono volati via così in fretta. Ma questo rischierebbe di alimentare il fronte dei “contrari” (che, comprensibilmente, faranno sentire la loro voce). Allora ribalto il discorso: questa rapidità rende Everyone, Everything, Everywhere, Ends meno estremo e viscerale rispetto al passato. E questo, stranamente, non è un male. Permette infatti di far emergere aspetti che prima passavano sottotraccia, invisibili. Se prima la dose di tranquillanti era massiccia, ora ne basta la metà: affrontiamo degli Shining più lucidi, padroni di una follia finalmente ammaestrata – possiamo dire più elegante? – con cui si finisce per entrare in confidenza. La frustrazione resta, ma è strozzata, reclusa, trattenuta. E anche quando fa capolino, non ci caschiamo più.

La produzione di Everyone, Everything, Everywhere, Ends è nitida e non nasconde nulla. Il gioco del tormentone è ancora una volta affidato a Niklas e al suo vocione, sempre capace di variare su registri ormai consolidati. Il disco mette addosso una certa voglia di riascolto: la noia resta a distanza e ciò che non afferriamo subito agisce in seguito, piazzando piccoli ordigni emotivi pronti a esplodere qua e là, fra le pieghe di ciò che già colpisce al primo ascolto.

L’essenza senza clamore: la concretezza sonora degli Shining

I brani incarnano alla perfezione il pensiero Shining. Non sono creati per stupire, ma per badare alla sostanza. Pilastri concreti, che danno senza pretendere, che seminano senza clamore. Più lo riascolto e più capisco che è qui che si annida il fulcro nevralgico dell’album.

La forma non manca, e mi impedisce di criticare tutto ciò che segue l’intro bipolare Den påtvingade tvåsamheten. Vilja & dröm non si fa pregare e muove le acque (si rivelerà alla fine la mia preferita). Framtidsutsikter procede più ampia – diciamo pure che si compiace – senza curarsi troppo delle regole su come una canzone dovrebbe evolversi. Människotankens vägglösa rum, manierista ma esaltante nelle accelerazioni, è l’incontro “felice” fra imbarazzo e progressive. Inga broar kvar att bränna ci accoglie invece quieta e acustica, per poi crescere in modo interpretativo e trionfante: uno dei momenti migliori del disco. Chiude il cerchio Besök från i(ho)nom, un pezzo che prima spinge e poi si placa, riassumendo l’intero viaggio appena vissuto.

Il nuovo raccolto Shining non è straordinario, ma è più che sufficiente per tirare avanti ancora un po’. Il gruppo svedese suona e scrive come sa, senza guizzi, ma aggiungendo comunque un altro trofeo alla sua nutrita bacheca di affascinante deviazione.

  • 65%
    - 65%
65%

Riassunto

Season of Mist (2015)

Tracklist:

01. Den påtvingade tvåsamheten
02. Vilja & dröm
03. Framtidsutsikter
04. Människotankens vägglösa rum
05. Inga broar kvar att bränna
06. Besök från i(ho)nom

Commenta