Ne ho sentite di tutti i colori sui Satyricon, da un certo punto della loro carriera sono stati oggetto di discussioni infinite. E così, più la distanza fra le due fasi aumentava, più diventava difficile scindere il prima con quello venuto dopo tramite argomentazioni completamente imparziali, riuscire a capire quanto si potesse sostenere una situazione del genere era diventato difficile anche per me, e qui mi tocca darmi della “banderuola” perché ero fra i tanti che aveva deciso che “no, così non va bene, i Satyricon sono morti e sepolti finché andranno avanti così, piatti ed inutili all’inverosimile“.
Ed invece mi recai ad uno di quei concerti in grado di cambiare repentinamente la visuale delle cose, perché si, i Satyricon non faranno più l’arte superiore di quei tempi lontani, ma almeno dal vivo si è compreso il motivo di una scelta smaccatamente catchy. E’ pur sempre meglio condividere pezzi immediati come quelli di oggi che antiche gemme per un “pubblico che non sa recepirle, che non c’è più dentro“, magari non sarà (anzi quasi sicuramente non lo sarà) questo il motivo principale, ma devo dire che oggi -almeno in concerto- la nuova veste dei Satyricon non mi dispiace affatto, e il mio motto è presto diventato “diamine! Satyr è uno che sa venderti davvero bene il suo prodotto“.
Penso sempre che chi ha vissuto il periodo Rebel Extravaganza non possa ormai stupirsi ormai più di tanto di fronte ad una loro nuova creazione, sotto certi aspetti sono più classicamente Satyricon le ultime produzioni che quel disco (che rimane in qualche modo 100% Satyricon a sua volta, argh, che discorsi mi tocca fare), o almeno lo è in particolare questo ultimo lavoro omonimo. Dico questo per sottolineare il fatto di non essermi particolarmente stupito per un brano come Phoenix che tanto sta facendo parlare/discutere, cioè ho retto una cosa drastica come Rebel Extravaganza nel 1999 e vuoi che non ti regga questa canzoncina così simpatica cantata in pulito dall’ospite Sivert Hoyem (che per inciso non mi dispiace affatto, uno dei classici pezzi bastardi che non ti levi più dalla testa)?
Ho variato più volte il pensiero su questo disco, il primo era molto positivo, poi è sceso drasticamente e successivamente si è assestato su di una barcollante sufficienza. Se dovessi parlare per me quindi, sarebbe quella la votazione giusta, anche se parte della mia coscienza mi stava indirizzando verso un decorosa bocciatura a causa di una parte finale un poco fastidiosa da digerire (orpelli certo, ma pur sempre cosucce che danneggiano lievemente l’insieme). Diciamo che per quell’ultima parte vale il classico “provate a prendere il brano da solo, e le cose magari andranno un pochino meglio”.
Per questo disco i Satyricon hanno deciso di dilatare tempi ed aumentare oltremodo l’epicità rispetto al fresco passato (su tutte non posso che ergere Tro Og Kraft il quale inizio mi ha catapultato incredibilmente ai tempi di Dark Medieval Times, si alla fine siamo sempre li, è più forte anche di me), è quella che si respira su Our World, It Rumbles Tonight (sebbene nella ormai classica salsedine “roll”, la nuova Repined Bastard Nation?) e soprattutto su Nocturnal Flare (forse il pezzo più indicativo per descrivere le sensazioni altalenanti date da quest’ultima fatica) e The Infinity of Time and Space.
Alla fine Satyricon trabocca di materia Satyricon (criticati ma riconoscibili al primo riff), forse non avrà la qualità che tanti si aspettavano, ma in qualche modo questo lavoro stuzzica piccoli tizzoni ardenti rimasti la sotto nascosti ormai troppo a lungo, lo fa senza modificare il percorso degli ultimi anni e va bene così perché ormai Satyr è uno che ti vende bene il suo prodotto ed è bello continuare a sentirli così. Certo, persiste quella vocina “stanno arrancando, è evidente” da qualche parte, ripetuta prontamente dalla parte diabolica del nostro potere decisionale.
In breve: se ci avete messo una pietra sopra da tempo non è arrivato di certo il momento per rimuoverla (anche se per qualche breve frangente forse lo meriterebbe), gli altri non so cosa cerchino esattamente oggi dalla loro musica, ma non è detto che questo lavoro li soddisfi perché non è poi così immediato come i due/tre che lo hanno preceduto (togliamo da questo discorso la sola Nekrohaven, la ripetizione/sequel automatica delle varie Fuel For Hatred/K.I.N.G./Black Crow On A Tombstone). Insomma è prendere o lasciare ancora una volta, sarà la vostra visuale delle cose riguardo la loro dimensione ad esprimersi. Diciamo che potrebbe darvi le meglio sensazioni da molti anni a questa parte e al contempo i più cocenti impertinenti pruriti.
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Riassunto
Roadrunner Records (2013)
01. Voice Of Shadows
02. Tro og Kraft
03. Our World, It Rumbles Tonight
04. Nocturnal Flare
05. Phoenix
06. Walker Upon The Wind
07. Nekrohaven
08. Ageless Northern Spirit
09. The Infinity Of Time And Space
10. Natt