Anno 2013, per i Satyricon è tempo del disco omonimo.
Ne ho sentite di tutti i colori sui Satyricon. Da un certo punto della loro carriera, sono stati oggetto di discussioni infinite. E così, più la distanza tra le due fasi aumentava, più diventava difficile separare il “prima” da ciò che è venuto dopo, cercando di argomentare in modo completamente imparziale. Riuscire a capire quanto si potesse sostenere una situazione del genere era diventato difficile anche per me. E qui mi tocca darmi della “banderuola” perché ero tra i tanti che avevano deciso che “no, così non va bene, i Satyricon sono morti e sepolti finché andranno avanti così, piatti e inutili all’inverosimile”.
E invece, mi recai a uno di quei concerti in grado di cambiare repentinamente la visione delle cose. Perché sì, i Satyricon non faranno più l’arte superiore di quei tempi lontani, ma almeno dal vivo si è capito il motivo dietro una scelta smaccatamente catchy. È pur sempre meglio condividere pezzi immediati come quelli di oggi, piuttosto che antiche gemme per un “pubblico che non sa recepirle, che non c’è più dentro”. Magari non sarà (anzi, quasi sicuramente non lo sarà) questo il motivo principale, ma devo dire che oggi – almeno in concerto – la nuova veste dei Satyricon non mi dispiace affatto. E il mio motto è presto diventato: “Diamine! Satyr è uno che sa venderti davvero bene il suo prodotto”.
Penso sempre che chi ha vissuto il periodo di Rebel Extravaganza non possa più stupirsi troppo di fronte a una loro nuova creazione. Sotto certi aspetti, le ultime produzioni sono più classicamente Satyricon di quel disco (che rimane, in qualche modo, 100% Satyricon, argh, che discorsi mi tocca fare!). O almeno, lo è in particolare questo ultimo lavoro omonimo. Dico questo per sottolineare il fatto di non essermi particolarmente stupito per un brano come Phoenix, che tanto sta facendo parlare e discutere. Voglio dire, ho retto una cosa drastica come Rebel Extravaganza nel 1999. Vuoi che non regga questa canzoncina simpatica, cantata in pulito da Sivert Hoyem (che, per inciso, non mi dispiace affatto, uno dei classici pezzi bastardi che non ti levi più dalla testa)?
Ho cambiato più volte idea su questo disco. Il primo ascolto è stato molto positivo, poi è sceso drasticamente e successivamente si è assestato su una barcollante sufficienza. Se dovessi dare un voto, sarebbe quello. Anche se una parte della mia coscienza mi stava indirizzando verso una decorosa bocciatura, a causa di una parte finale un po’ fastidiosa da digerire (orpelli, certo, ma pur sempre cosucce che danneggiano lievemente l’insieme). Diciamo che per quell’ultima parte vale il classico “provate a prendere il brano da solo, e le cose magari andranno un pochino meglio“.
Per questo disco, i Satyricon hanno deciso di dilatare i tempi e aumentare oltremodo l’epicità rispetto al fresco passato. Su tutte, non posso che ergere Tro Og Kraft, il cui inizio mi ha catapultato incredibilmente ai tempi di Dark Medieval Times (sì, alla fine siamo sempre lì, è più forte di me). È quella la sensazione che si respira anche su Our World, It Rumbles Tonight (sebbene nella ormai classica salsedine “roll”, siamo al cospetto della nuova Repined Bastard Nation ?) e soprattutto su Nocturnal Flare (forse il pezzo più indicativo per descrivere le sensazioni altalenanti di quest’ultima fatica) e su The Infinity of Time and Space.
Alla fine, Satyricon trabocca di materia Satyricon (criticato ma riconoscibile al primo riff). Forse non avrà la qualità che tanti si aspettavano. Ma in qualche modo questo lavoro stuzzica quei piccoli tizzoni ardenti rimasti nascosti sotto la cenere per troppo tempo. Lo fa senza modificare il percorso degli ultimi anni, e va bene così, perché ormai Satyr è uno che sa venderti bene il suo prodotto, ed è bello continuare a sentirli così. Certo, persiste quella vocina “stanno arrancando, è evidente” da qualche parte, ripetuta prontamente dalla parte diabolica del nostro potere decisionale.
In breve: se ci avete messo una pietra sopra da tempo, non è certo arrivato il momento di rimuoverla (anche se per qualche breve frangente forse lo meriterebbe). Gli altri, non so cosa cerchino esattamente oggi dalla loro musica, ma non è detto che questo lavoro li soddisfi, perché non è poi così immediato come i due/tre che lo hanno preceduto (togliamo da questo discorso la sola Nekrohaven, la ripetizione/sequel automatica delle varie Fuel For Hatred, K.I.N.G., Black Crow On A Tombstone).
Insomma, è un prendere o lasciare. Per l’ennesima volta. Sarà la vostra visione delle cose riguardo la loro dimensione a esprimersi. Diciamo che potrebbe darvi le migliori sensazioni da molti anni a questa parte, e al contempo i più cocenti, impertinenti pruriti.
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60%
Riassunto
Roadrunner Records (2013)
Tracklist:
01. Voice Of Shadows
02. Tro og Kraft
03. Our World, It Rumbles Tonight
04. Nocturnal Flare
05. Phoenix
06. Walker Upon The Wind
07. Nekrohaven
08. Ageless Northern Spirit
09. The Infinity Of Time And Space
10. Natt