Ofnus – Valediction

A due anni dal debutto Time Held Me Grey and Dying ritornano con assoluta tenacia i gallesi Ofnus con la loro seconda creazione intitolata Valediction

Avevo adorato e celebrato a dovere il loro primo album, e oggi non posso fare altro che tessere elogi sperticati a Valediction, la loro seconda opera. L’ora scarsa trascorsa in sua compagnia rinvigorisce e rinsalda un legame con certe impronte perdute nel tempo. Gli Ofnus realizzano un disco realmente grandioso sotto ogni aspetto, un lavoro che, dall’inizio alla fine, non smette un solo istante di emanare magnificenza, autorevolezza e prestigio.

Colpisce ancor di più la sicurezza esibita in questa nuova prova, una sicurezza che si impone su basi di un black metal solido, arricchito da variazioni significative e da parti di tastiera che tuttavia non deviano mai lo scorrimento naturale del tutto. Valediction non è mai banale nella sua ossatura e si distingue grazie a un poderoso songwriting, che mi spinge ad alzare ulteriormente il voto e l’asticella rispetto all’album di esordio.

Gli Ofnus, con i sette brani di Valediction, costruiscono qualcosa di notevole: diamo loro il giusto merito

Le sette composizioni di Valediction esplorano le fasi dell’elaborazione del lutto. Già questo dovrebbe lasciare intendere il tocco e la sensibilità che andremo a sentire all’interno del prodotto.

The Shattering irrompe e irradia con potenza, con aperture melodiche che “crescono spontaneamente” (intenso il doppiaggio vocale aspro/melodico e tutta la meravigliosa coda del brano). In pratica abbiamo il pensiero, la portata e il climax di ciò che seguirà.

Gli Ofnus non allungano mai il brodo senza motivo, le decisioni prese appaiono sempre quelle giuste, di qualità e le composizioni ne traggono infine assoluto beneficio. Reflections of Delusion oltre a un nuovo finale da tramandare esalta la prova canora di un William Philpot sempre ispirato e proficuo nel dare quella marcia in più.

È breve e ficcante Throes of Agony, una canzone che ci scaglia contro tutta la determinazione e l’efficienza delle chitarre di James Ponsford e Alyn Hunter. Mentre Proteus è un insieme di echi instabili, 11 minuti inquieti e camaleontici, nei quali la band infila e consolida tutta la qualità acquisita.

Zenith Dolour è una pugnalata aspra e profonda, fino a quando non decide di fermarsi per lanciare un’intensissima strofa finale, che rappresenta anche uno dei momenti più alti di tutto Valediction. A seguire, una title track che punta sul trasporto liquido/emotivo e sull’interiorizzazione del focus generale, con un altro finale da pelle d’oca assoluto (“Feeling it’s all, Feeling it’s all the same…)

Con il tratto sinfonico e oscuro di Alazia si conclude un’esperienza totalizzante, un viaggio nei meandri della sofferenza e di un’esplorazione interiore che non deve mai essere trascurata. Con Valediction, gli Ofnus ci indicano una strada per prendercene cura.

Copertina, influenze e conclusioni

L’impatto con la copertina penso non necessiti di descrizioni. Basta osservarla per entrare nel disegno e fonderlo istintivamente con l’impeto emozionante della musica. La musica degli Ofnus riesce poi a fondere gli elementi delle vecchie produzioni di Dimmu Borgir e Cradle of Filth (sono proprio lampi, intuizioni) senza mai risultare una copia. Anzi, la filtrano attraverso una chiave decisamente più epica e battagliera, sfiorando le ‘coste sonore’ di Primordial e Borknagar. Il tutto entra in un disegno di cui la band ha pieno controllo, e questo si avverte fin da subito.

Avevo finito la recensione di Time Held Me Grey and Dying con la speranza che non restasse un capitolo isolato da rimpiangere. Oggi, con Valediction, gli Ofnus rispondono in modo deciso e emotivo, confermandosi tra le migliori band di recente formazione. Fatevi un regalo: ascoltatelo e vivetelo appieno, con calma, proprio come si faceva un tempo.

84%

Summary

Naturmacht Productions (2025)

Tracklist:

01. The Shattering
02. Reflections Of Delusion
03. Throes Of Agony
04. Proteus
05. Zenith Dolour
06. Valediction
07. Alazia

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