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Nervosa – Agony

L’indecenza, intesa come modo di pensare e agire, è indiscutibilmente il vero collante che da forma alla nostra società. Dal presidente della BCE al grande produttore cinematografico, passando per il funzionario internazionale fino alla simpatica guardia giurata della porta accanto, il comune denominatore che li associa è un’innata propensione per la rabbinata di peggior specie.
I riferimenti al mondo della politica e dell’economia ovviamente sì sprecano, ma quelli preferisco lasciarli all’indiscutibile classe di Maurizio Crozza, Ascanio Celestini e Federico Frusciante, professionisti nettamente più bravi del sottoscritto a sputtanare il sistema in cui siamo ben contenti di sopravvivere.

L’uscita di Agony, nuovo disco delle brasiliane Nervosa, simbolicamente ben si presta a trasmettere tale concetto anche nell’ambiente alternativo (… a cosa?) del rock pesante.
Ma andiamo con ordine: a partire dal 2000, l’esaurirsi degli echi del power metal alla Fantaghirò e della musica da finti depressi (che, ahimè, non s’è ancora del tutto estinta…) ha portato al graduale ritorno sia di un congruo numero di formazioni smarritesi nei meandri degli anni novanta, sia di sonorità che nel medesimo decennio furono date per morte.
Il genere sicuramente più squassato dall’onda del revival è senza ombra di dubbio il thrash, che ha registrato il ritorno all’ovile di tutte le formazioni appartenenti ai tempi andati e un rinnovato interesse da parte del mercato per il vintage, sia sotto forma di ristampa del 90% dei dischi presenti a catalogo nel 1985, sia con la nascita di nuove formazioni votate ai più conservativi canoni del genere.
Non è infatti un caso se le uscite che hanno dato autentico spolvero al thrash del nuovo millennio si contano sulle dita di una mano. Di contro – invece – le uscite trascurabili e spesso inutili sì sono susseguite con ritmo piuttosto incalzante. E’ il caso dei come back di Annihilator, Destruction, Kreator, Machine “puttane del metal” Head e Metallica che puzzano d’artificiosità come pochi, ma anche di formazioni da cui era lecito aspettarsi molto (Exodus, Nuclear Assault, Slayer e Sodom) ormai dispersi nei meandri del relativismo e delle composizioni dilatate, dei Testament, tornati dopo lustri di silenzio con un disco completamente privo di spirito, e dei Necrodeath (o se preferite potete continuare a chiamarli Ghostrider, brrrr…) che si sono progressivamente svuotati d’ogni capacità compositiva e tecnica.
Un ciclone che, tutt’oggi, continua a mietere vittime: labels assetate di guadagno, musicisti più o meno virtuosi e semplici ascoltatori prontissimi a sposare inclinazioni con cui nulla hanno a che fare, sfruttandole per trovare la propria collocazione all’interno della società, ne più ne meno di quanto fanno i tanto vituperati fighetti che s’infarinano il naso il sabato sera nelle discoteche sognando di seguire le orme di Morgan, Emma, o ancora di Guè Pequeno.
Se a tutto questo bel minestrone aggiungiamo la cronica latitanza di creature femminili all’interno dei luridi ghetti radical-nazi-metallari (il buon Michael Amott con i suoi Arch Enemy post-Burning Bridges è stato precursore ancora una volta! ), è certamente più semplice comprendere la convinzione con cui la decaduta Napalm Records stia “spingendo” questa Nervosa realtà sudamericana.

Agony, si diceva. Secondo full-lenght rilasciato sotto l’etichetta austriaca, dopo il non memorabile debutto Victim of Yourself, e seconda inenarrabile rottura di corbelli.
L’apripista Arrogance, piuttosto che Theory of Conspiracy o Guerra Santa (ma potrei tranquillamente citare Hostages o Cyberwar, capito l’antifona?) rispecchiano perfettamente le esigenze dell’ebete headbanger di nuova generazione: produzione bombastica (il che non vuol dire necessariamente avere il tiro giusto), blastbeat piazzato a cazzo campana col solo intento di “spaccare”, vocals di un piattume disarmante, assoli striduli francamente irritanti (Jeff Hanneman… rest in pain! ), songwriting prevedibile e raramente graffiante (prendete il death-groove dei peggiori Unleashed e combinatelo coi già citati Destruction & Necrodeath), testi-slogan buttati giù in 20 secondi netti a mò di riempitivo, personalità ai minimi termini condita da un’attitudine tanto fiera quanto imbarazzante (Fernanda Lira non è altro che la caricatura femminile di Tom Araya! ).
Involucro del nulla, mai definizione fu più azzeccata per descrivere tale pochezza esecutiva, che vede nelle note dell’oramai consueta mălus-track (Wayfarer) un “coerente” guazzabuglio gospel/blues- zeppelin/thrash di sei e passa minuti privo di ogni fondamento, se non quello di chiedersi quale delle tre violente metal bitches stia effettivamente scimmiottando sua maestà Aretha Franklin dietro al microfono.

Con le dovute proporzioni, possiamo quindi considerare questo Agony come la perfetta riproposizione sonora delle sempre più gettonate pellicole cinematografice di casa Marvel: una cagata pazzesca.
Un dischetto, insomma, sconsigliato un po’ a tutti. Alle nuove leve, mi sento di prescrivere massicce dosi di Uncle Slam e/o Dètente (questi sì davvero impegnati nel sociale), per i nostalgici dai jeans attillati,capelli unti e tu-pa tu-pa, il suggerimento è quello di ricercare una copia fisica di Extreme Hatred degli ormai svaniti Hypnosia, mentre per quanto riguarda i semplici segaioli, beh… questi potrebbero trovare maggiore appagamento tra le imbiancate pagine di Youjizz.
Dimostrate un poco di serietà, almeno una volta nella vita.

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Riassunto

Napalm Records (2016)

01. Arrogance
02. Theory Of Conspiracy
03. Deception
04. Intolerance Means War
05. Guerra Santa
06. Failed System
07. Hostages
08. Surrounded By Serpents
09. CyberWar
10. Hypocrisy
11. Devastation
12. Wayfarer

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Copertina dell'album No Place to Hide dei Mortal AgonyMortal Agony – No Place to Hide Nostalgic Agony – Vortex Of Resentment From the Weeping Walls Nervosa – Perpetual Chaos
  • Data dell'articolo
    10 Giugno 2016
  • Pubblicato da
    The Industrialist
  • Pubblicato in Recensioni, Thrash Metal/Violent Frequencies/Post Metal
  • Taggato con Agony, Napalm Records, Nervosa
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Tema di Anders Norén

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