Dopo un primo ascolto non avrei mai scommesso che Cerecloth finisse col fare a spallate assieme a Pariah ed Harvest per quanto concerne una specifica epoca. Il disco dopo l’eccellente prima metà mi sembrava calare a vista d’occhio –sebbene con la sua opportuna classe- ma fortunatamente i successivi ascolti hanno dato lustro anche a lei, e quasi-quasi sono arrivato al punto di dubitare sul cosa mai avessi ascoltato (no dai, la prima parte è davvero un qualcosa di cui i Naglfar possono andare orgogliosi e fieri) quella prima volta.
Ma una caratteristica esce fuori lampante: Cerecloth è il disco più cattivo e più nero nel midollo dell’epoca Kristoffer Olivius come lead singer. Te lo senti dentro nelle viscere in ogni sua parte. I Naglfar si rendono cupissimi, creatori sublimi di una musica dotata di un suo equilibrio specifico (oggi più che mai mi vien da affermare), dove violenza e melodia si aggregano senza mai far emergere distintamente una delle due fazioni (talmente cattivi ma anche melodici, e tu sei in mezzo senza capire bene dove inizia o finisce l’una o l’altra corrente).
Le chitarre esprimono nient’altro che pura poesia svedese, la coppia Norman/Nilsson non smette mai di stupire per cura, tratto e meticolosità riposta in ogni singola canzone. Questo duo si meriterebbe molta più attenzione di quella sino ad oggi raccolta, questo è poco ma sicuro. Arte svedese forgiata su finissimi e altissimi livelli, ciò viene ribadito su Cerecloth in maniera pura, implacabile e lampante.
La title track dilania l’anima, un brano pazzesco che non smette mai di pulsare e sorprendere, per il quale non dovete far altro che lasciarvi abbandonare (grazie Olivius!). Horns messa subito dietro risponde con le rime, altro affresco artistico che si arrampica su vette ondulate e spiega ai profani cosa sia l’arte estrema svedese. Che disco dei Naglfar sarebbe senza un po’ di sana carica misantropica? Ecco dunque giungere a noi Like Poison for the Soul e Vortex of Negativity, la prima ti spara un’accoppiata strofa-ponte-refrain da scorticarsi, la seconda è uno spunzone rovente pronto a far presa su una pelle già corrosa.
Ormai avvinghiati al cuore di Cerecloth arriva prima una Cry of the Serafim dalle due velocità (e anche qui si applaude senza pudore) e poi una convincente The Dagger in Creation alla quale do pure il premio per “capacità di crescita”(come viaggiano dannate quelle chitarre!). A cattiveria si risponde con cattiveria, tal logica ci porta a ridosso di una A Sanguine Tide Unleashed pronta a lasciare ogni cosa durante la sua declamazione. Poi si arriva ad un ponte, una sorta di passaggio per intenti simili alla title track di Vittra; in tre minuti Necronaut ricopre di cenere l’atmosfera prima di gettarci a capofitto nell’epica, preziosa e norrena Last Breath of Yggdrasil (ovvero proprio quel brano che ci voleva per chiudere il sipario).
Con la copertina più mortifera della loro carriera ad opera di Kristian Wahlin e le mani di Dan Swanö in rifinitura Cerecloth da ulteriore modo di far parlare di sé. Se ne sono stati in letargo otto laboriosi anni, ma visti i risultati odierni non possiamo di certo lamentarci. Solo il tempo mi dirà la sua esatta posizione all’interno della discografia Naglfar, ma l’aggiunta a quel gruppetto citato in apertura di per sé vale già molto.
Gli anni scorrono inesorabili, ma i Naglfar sono sempre quella cara e perfida certezza di cui si avverte il bisogno.
Summary
Century Media Records (2020)
Tracklist:
01. Cerecloth
02. Horns
03. Like Poison For The Soul
04. Vortex Of Negativity
05. Cry Of The Serafim
06. The Dagger In Creation
07. A Sanguine Tide Unleashed
08. Necronaut
09. Last Breath Of Yggdrasil