Misericordia – Throne of Existence: L’entusiasmo mancato
Diamine, questo disco dei Misericordia sembra aver convinto parecchio gli addetti ai lavori (in troppi casi catturati da facili entusiasmi). Quasi tutti in circolazione ma non me, con me non è riuscito purtroppo ad attaccare a dovere. D’altronde potrei “salvarvi” l’immondizia di turno o capovolgere le cose quando i giudizi parrebbero essere unanimi.
A questo punto viene già il momento in cui vi dichiaro la mia passione per il black metal svedese con tanti bla-bla a seguire. Sono consapevole di essere ripetitivo lo so, ma ogni volta si deve pur sempre cominciare ad imbrattare quel foglio bianco che ci osserva implacabile alla partenza. Questo preambolo serve solo a far capire come il genere implicato sia uno dei miei preferiti. Roba in cui sguazzo allegramente da una vita si può dire. Proprio per questo con me non attaccano e quindi decadono discorsi banali quali “sono solo l’ennesimo gruppo uguale a tanti altri” oppure “non apportano alcuna sorta di rinfrescante novità” (non me lo sentirete mai dire). Io sono più per un semplicissimo “o le cose le fai bene, oppure no“, e i Misericordia da questa visuale rappresentano senza dubbio una bella gatta da pelare.
Ferocia e fedeltà: quando il black svedese conserva le sue regole
E’ evidente quanto i ragazzi conoscano la materia scelta (eh beh, sono svedesi mi direte giustamente, ma sono anche rimasti fermi a lungo, nati nel 1998 con primo disco risalente al 2004), l’ossatura e i modi sono esattamente come devono essere, rendono e “devastano” secondo leggi inculcate da tempo dai grandi nomi storici (li dico una volta e cerco di non ripeterli: Naglfar più violenti, Marduk, Setherial e Dark Funeral).
Chi ha acceso il fuoco iniziale non lo alimenta a dovere lungo il tragitto. Anche se il disco non crolla mai oltre una soglia di comprovata sofferenza, manca l’impegno per mantenere vive alcune fiamme nevralgiche che avrebbero potuto renderlo più incisivo.Throne of Existence è così destinano all’appiattimento. E’ come un corridore che brucia tutte le sue forze alla partenza senza accorgersi del danno commesso se non nei pressi del traguardo.
Chi ha impostato l’album ha contribuito alla sua debolezza generale: ogni brano, preso singolarmente, non delude – ne sono convinto – ma la selezione nel complesso, forse poco attenta, avrebbe giovato di scelte più mirate o di qualche esclusione. Una volta che tutto si addensa, però, il risultato perde efficacia, e finisce per evidenziare una follia cieca accompagnata da una forte sterilità.
Una partenza brutale, poi le prime crepe: il crescendo instabile della prima metà
La title track in apertura sa di certo come scorticare, pungente blasfemia disposta a tutto pur di impattare contro il povero malcapitato di turno. La seconda The Art of Perfection procede per fiammate ed intensifica l’aria anche se qualcosina comincia già a non quadrare. Bleak è efferata, certamente una delle migliori nei suoi modi a cavallo fra Dissection e i Naglfar di Diabolical. The Salvation si muove invece fra continui alti e bassi (è qui che si andranno a registrare i primi sintomi di stanchezza) prima che For Our Father chiuda positivamente la prima metà del disco (si avvertono perfino linee vocali alla Dimmu Borgir, qui ma anche altrove) con il suo “effetto cantilena”.
L’innocua strumentale In Ater Interlude spiana la strada a una non sorprendente Abandoned/Unhallowed. The Righteous Order parte positivamente a rilento, e tutto sommato non viene troppo deturpata in seguito. La chiusura prevede l’altalenante Blind by Belief e la sinceramente bruttina Followers.
Throne of Existence racconta solo di un entusiasmo mancato. Capita anche questo.
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58%
Summary
Deepsend Records (2014)
Tracklist:
01. Throne of Existence
02. The Art of Perfection
03. Bleak
04. The Salvation
05. For Our Father
06. In Ater Interlude
07. Abandoned / Unhallowed
08. The Righteous Order
09. Blind by Belief
10. Followers