Sjukdom dei Lifelover: il canto del cigno tra potenza e delusione
È stata la Prophecy Productions ad accogliere sotto la propria ala Sjukdom, l’ultimo nato di casa Lifelover. Il quarto tassello, il canto del cigno discografico di questi “chiacchierati” svedesi.
Tre dischi carichi di personalità e follia non sono bastati alla formazione per tentare di osare l’ulteriore colpaccio. La band ha condensato e racchiuso tutte le caratteristiche già note dentro quest’opera, riuscendo – per me – solo a metà. Le uniche differenze con il passato sono da inquadrare nella produzione più corposa, “sonante” e grassa, una potenza che in fondo non sta male sulla loro musica, in qualche modo una diversificazione della follia e depravazione ormai pienamente maneggiata.
Il fattore realmente negativo di Sjukdom è il voler mettere troppa musica, troppa disperazione sul piatto. La presenza di canzoni mediocri finisce così col diminuire di molto il valore globale dell’album. Riuscirlo ad ascoltare per intero senza sbadigliare diventerà una piccola/grande impresa. Io più volte mi ci sono perso, anche distratto se vogliamo, eppure i Lifelover sono sempre maestri nel campo dell’intrattenimento. Troppe cose imbarcano acqua, anche se il prodotto alla fine ha fatto il suo discreto “botto”, giusto per sola colpa del monicker coinvolto.
Una miscela sonora potente tra urla, riff e chiaroscuri emotivi
Sjukdom è quindi pieno e “possente”, recitato come sempre in maniera depresso/schizofrenica tramite urla laceranti e parlati deviati. La musica dei Lifelover unisce – come di consueto – black metal, dark e rock, una ricetta vincente che li ha portati a raggiungere traguardi sicuramente importanti. Non ci sono dubbi su chi deve correre a comprare quest’album, mentre un ascolto preliminare è quantomeno dovuto per quelli che già da qualche tempo riscontrano uno specifico olezzo di appiattimento in sede di composizione (i primi due dischi rimangono secondo me su un altro pianeta rispetto alla rimanenza, anche Dekadens non brillava poi troppo).
Mi rendo conto di come le note sospese di tastiera (ormai vero e proprio marchio di fabbrica) siano le parti che riescono a colpire meglio. Lo dimostrano i due brani che reputo “superiori”: Svart Galla ed Expandera, due hit assolute che non faticheranno a spopolare tra gli affezionatissimi (dove mi metto anch’io). Due brani trascinanti ed impetuosi come solo i Lifelover possono essere, mentre saranno i brani definibili come “malati” a venire clamorosamente a mancare. Led By Misfortune, ad esempio, non è così male, scorre però troppo liscia, lasciandoti a fronteggiare un pericoloso e traballante vuoto.
Fortunatamente ci sono anche diversi momenti vincenti, uno di questi lo sentiamo nello scimmiottamento degli Slayer nella brevissima Homicidal Tendencies (poteva essere una via da intraprendere per uscire dal vicolo cieco oppure significa osare troppo ?). Suona invece affascinante e morbosa Resignation, spiattellata in faccia con giusti arnesi e tempi.
Disomogeneità e cedimenti: il cuore fragile di Sjukdom
La parte centrale del disco è quella che mostra i cedimenti più evidenti. Le belle melodie tastierose non salvano dal tracollo Doften Av Tomhet, mentre l’incedere di Totus Anctus è stato servito in maniera più decorosa in passato (in questa canzone torna vivo anche lo spettro di marca Bethlehem). Più ascolto Sjukdom e più mi rendo conto di quanto sia disomogeneo. Non so quanto questa caratteristica sia stata cercata o voluta, non riesco a capire quanto effettivamente sia un bene o un male. Ho pensato che alcuni brani siano stati messi proprio a caso, anche per quanto concerne la posizione in tracklist.
La doppietta Horans Hora / Bitterljuv Kakofoni regala nuova noia, forse quella più “palpabile” ed evidente dell’intero album (dieci minuti complessivi che – detto sinceramente – potevano essere risparmiati). Mentre mi chiedo l’utilità di un brano come Becksvart Frustration (realmente scialbo), si assiste poi a una leggera ripresa, dapprima con Nedvaknande, ma soprattutto con Instrumental Asylum (il pezzo avrebbe meritato maggior “appoggio” dal resto, peccato) e Utdrag. La inserisco direttamente tra le migliori tre del disco, prima di lanciare l’ultima traccia “né carne né pesce” chiamata Karma.
I loro seguaci potranno leggere benissimo un voto più alto (anche esagerato se proprio vogliamo) in fondo a questa recensione. Capirò benissimo il loro entusiasmo, in ogni caso. Da parte mia posso solo sottolineare una chiara delusione, una delusione che avrei voluto scacciare via molto volentieri.
La loro carriera lascia comunque un buon ricordo intatto, nonostante la negatività di questo episodio: alla fine, è proprio questo che conta.
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Summary
Prophecy Productions (2011)
Tracklist:
01. Svart galla
02. Led by Misfortune
03. Expandera
04. Homicidal Tendencies
05. Resignation
06. Doften av tomhet
07. Totus Anctus
08. Horans hora
09. Bitterljuv kakofoni
10. Becksvart frustration
11. Nedvaknande
12. Instrumental Asylum
13. Utdrag
14. Karma


