Invecchiano ma non si dica in giro che demordano i brasiliani Krisiun. Avevo giurato loro fedeltà assoluta dopo la visione di un loro concerto (assolutamente massacrante) di non pochi anni fa, da quel momento un bel contrattino non scritto era stato stipulato fra me e cotanta fame barbarica. Ma quella voglia di abbattere tutto e tutti si è un pochino affievolita nel corso degli anni, nuovi dischi sono arrivati e la produttività è un pochino calata. Ma sono aspetti del tutto normali, levighi levighi e qualcosa sei destinato a perdere se vuoi ostinatamente rimanere chiuso nel tuo sicuro recinto. Tutti ti rinfacciano i tuoi capolavori, e per un po li stai pure a sentire, ma se sei forte finisci anche per “fare di testa tua”, ti assumi rischi e pericoli del caso, questi a volte possono venire fuori bene, altre invece meno. Nel tentativo di fare meno nomi o citazioni possibili (i dischi li sapete e se non li sapete bastano pochi click in giro per la rete per scoprirlo) posso giusto adoperare gli ultimi due partoriti dalla violenta creatura brasiliana, il precedente The Great Execution (anno 2011) suona tanto come quell’evoluzione controllata portata ottimamente a termine, l’ultimo Forged in Fury rappresenta invece l’altro volto della medaglia, quel parto poco riuscito che finisce a lottare selvaggiamente contro una sufficienza messa in corso d’opera troppe volte in bilico (e se dovesse arrivare sappiamo che sarà soltanto l’effetto nostalgia/buonismo a farci parlare, proprio come quasi nel mio caso).
Potrei dirvi che se mi fossi fermato al primo ascolto trovereste una opinione veramente “tragica” a riguardo, a volte penso sia meglio sparare fuori determinate sensazioni di primo pelo, perché a loro modo rappresentano una sorta d’autentica ma differente verità. Ma poi il buonsenso ti fa insistere (almeno nel mio caso, poi ognuno riterrà fare come meglio crede) e rimetti l’album un’altra volta, e poi un’altra volta ancora, solo a quel punto il tuo cervello arriva a percepire specifiche onde sonore, e anche quello che ti sembrava insopportabile inizia a prendere quantomeno senso (tanto da arrivare a chiederti: “ma mi sta veramente piacendo?”). In questo caso non si parla certo di un cambio opinione repentino, ma un tiepido e costante miglioramento diciamo che è avvenuto, ed almeno quel buio ( definiamola pure “noia totale”) che ti aveva acchiappato inizialmente è venuto grattato un poco via.
Giocare con la prolissità è molto rischioso, soprattutto per loro e quell’asfissiante stile che li contraddistingue, ma questa volta la pesantezza arriva senza filtro e tutta assieme, ed apparirà come un vero macigno (saranno nove i brani per abbondanti 50 minuti), anche a discapito della pulizia impattante dei Mana Recording di Erik Rutan (quando si mettono a macinare finisci sempre per goderteli in qualche modo i Krisiun, con questa presentazione poi).
Sembra che prima di buttare giù le canzoni di Forged in Fury i nostri si siano calati in vena l’intera discografia dei Vader. Basta ascoltare il benvenuto di Scars of the Hatred per farsene una rapida idea, il brano tagliuzza senza rimorsi, ridondante estasi da ferro e fuoco dai chiari intenti omicidi (le metriche non capisci se devi amarle oppure odiarle eppure alla fine sarà la canzone preferita). Solo in seconda battuta troviamo Ways of Barbarism, il pezzo che ci rivela il truce intento primario di Forged in Fury (assalto con assestamento di colpi) ma anche i suoi punti deboli (leggasi in “facile perdita del filo/interesse). La lotta fra sound e ricerca di apprezzamento è pressoché continua, così da una parte ti ritrovi a sbavare per il sound del basso o per le implacabili ritmiche del solito Alex Kolesne alla batteria, dall’altra rimani spiazzato e in cerca di una luce guida che ti faccia scattare la fatidica molla. I Krisiun vogliono toglierci la capacità di formulare delle idee, solo da questa visuale possiamo comprendere ed accettare un disco di questo tipo, un disco capace di farti esultare e maledire al contempo un brano come Dogma of Submission (ottimo quando scava e per il refrain, tutt’altro nella rimanenza). Con Strength Forged in Fury risalgono le quotazioni anche se non in modo straordinario (vedo Piotr Paweł Wiwczarek reclamare prepotentemente tributo a Alex Camargo), e la canzone è libera di ricevere un bello scossone in scia agli schizzati solos. I sei minuti di Soulless Impaler danno la leggera sensazione di essere troppi mentre Burning of the Heretic unitamente alle sue strofe prepara un banchetto sicuramente più interessante.
In coda le cose non mutano, e i discorsi fatti finora valgono anche per The Isolated Truth (dito più giù che su), la dispersiva Oracle of the Ungod e una maggior protagonista -dal denso e maledetto senso epico/alternativo- Timeless Starvation.
Per i feticisti basterà il solito gesto di scoperchiare l’infernale copertina di Joe Petagno, perché si sa certi sapori, certi sussulti non cambieranno mai. Nel mio caso solo quando lo troverò ai saldi ci farò un debito pensierino. D’altronde quando la voglia di rimettere su un disco non si presenta in maniera massiccia qualche domanda bisogna pur farsela.
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Summary
Century Media Records (2015)
Tracklist:
01. Scars of the Hatred
02. Ways of Barbarism
03. Dogma of Submission
04. Strength Forged in Fury
05. Soulless Impaler
06. Burning of the Heretic
07. The Isolated Truth
08. Oracle of the Ungod
09. Timeless Starvation
10. Milonga de la Muerte