Invecchiano ma che non si dica in giro che demordano i brasiliani Krisiun. Nel 2015 davano alle stampe Forged in Fury. Da parte mia, avevo giurato loro fedeltà assoluta dopo la visione di un concerto di qualche tempo fa (assolutamente massacrante). Da quel momento ho deciso di stipulare un “contratto” non scritto tra me e cotanta fame barbarica.
Quella voglia di abbattere tutto e tutti si è un pochino affievolita nel corso degli anni. Sono arrivati nuovi dischi in casa Krisiun, la produttività è un pochino calata, eppure si va avanti ancora. Forged in Fury è il tito protagonista di oggi.
Quando levighi e levighi, qualcosa sei destinato a perdere se vuoi ostinatamente rimanere chiuso nel tuo sicuro recinto. Tutti ti rinfacciano i tuoi capolavori, e per un po’ li stai pure a sentire, ma se sei forte finisci anche per “fare di testa tua”. Finisce che ti assumi rischi e pericoli del caso, questi a volte possono venirti fuori bene, altre invece meno.
Nel tentativo di fare meno nomi o citazioni possibili (i dischi li sapete, e se non li sapete bastano pochi click in giro per la rete per scoprirlo). Posso giusto adoperare gli ultimi due partoriti dalla violenta creatura brasiliana: il precedente The Great Execution (anno 2011) suona tanto come quell’evoluzione controllata portata ottimamente a termine, l’ultimo Forged in Fury rappresenta invece l’altro volto della medaglia. Quella nascita poco riuscita che finisce a lottare selvaggiamente contro una sufficienza stentata, messa troppe volte in bilico (e se dovesse arrivare sappiamo che sarà soltanto l’effetto nostalgia o certo “buonismo” a parlare).
Potrei dirvi che se mi fossi fermato al primo ascolto trovereste una opinione veramente tragica a riguardo. A volte penso sia meglio esternare certe sensazioni grezze, di primo impatto, perché, a loro modo, rappresentano una forma di verità. Ma poi il buonsenso ti fa insistere (almeno nel mio caso, poi ognuno riterrà opportuno fare come meglio crede), e rimetti l’album un’altra volta, e poi un’altra volta ancora. Solo a quel punto il tuo cervello arriva a percepire specifiche onde sonore. E anche quello che ti sembrava insopportabile, inizia lentamente ad acquistare senso. Tanto da arrivare a chiederti: “Ma mi sta veramente piacendo?”
In questo caso non si parla certo di un cambio opinione repentino, solo di un tiepido e costante miglioramento. Quantomeno quel buio (definiamola pure “noia totale”) che mi aveva acchiappato inizialmente è stato grattato un poco via.
Giocare con la prolissità è molto rischioso, soprattutto per loro, con quell’asfissiante stile che li contraddistingue. Questa volta la pesantezza arriva senza filtro e tutta assieme, come una manata in pieno volto per mezzo di nove brani per 50 minuti. Nemmeno la pulizia impattante dei Mana Recording di Erik Rutan riesce a tendere una mano salvifica. Per il resto quando i Krisiun si mettono a macinare, quel poco finisci sempre per goderteli.
Sembra che prima di buttare giù le canzoni di Forged in Fury i Krisiun si siano calati in vena l’intera discografia dei Vader. Basta ascoltare il benvenuto di Scars of the Hatred per farsene una rapida idea. Il brano tagliuzza senza rimorsi, ridondante estasi da ferro e fuoco dai chiari intenti omicidi (le metriche non capisci se devi amarle, oppure odiarle per quella che sarà infine la mia canzone preferita).
Solo in seconda battuta troviamo Ways of Barbarism, il pezzo che ci rivela il truce intento primario di Forged in Fury e dei Krisiun (puro assalto con assestamento di colpi), ma anche i suoi punti relativi deboli (si tende a perdere interesse). La lotta tra sound e ricerca di apprezzamento è pressoché continua. Da una parte ti ritrovi a sbavare per il suono del basso o per le implacabili ritmiche del solito Alex Kolesne alla batteria, dall’altra rimani spiazzato, in cerca di una luce guida che faccia scattare la fatidica molla.
I Krisiun vogliono toglierci la capacità di formulare delle idee. Solo da questa visuale possiamo comprendere ed accettare un disco come Forged in Fury. Un disco capace di farti esultare e maledire al contempo un pezzo come Dogma of Submission (ottimo quando scava, e per il refrain, tutt’altro nella rimanenza). Con Strength Forged in Fury risalgono le quotazioni, anche se non in modo straordinario (vedo Piotr Paweł Wiwczarek reclamare prepotentemente la paternità del brano), e la canzone è libera di ricevere un bello scossone in scia agli schizzati solos.
I sei minuti di Soulless Impaler danno la leggera sensazione di essere troppi. Mentre Burning of the Heretic unitamente alle sue strofe prepara un banchetto sicuramente più interessante.
In coda le cose non cambiano. I discorsi fatti finora valgono tutti anche per The Isolated Truth (dito più giù che su), la dispersiva Oracle of the Ungod e una protagonista un pelo più incisiva: Timeless Starvation, dal denso e maledetto senso epico/alternativo.
Per i feticisti dei Krisiun basterà il solito gesto di scoperchiare l’infernale copertina di Joe Petagno. Perché si sa, certi sapori, certi sussulti non cambieranno mai. Nel mio caso solo quando troverò Forged in Fury in saldo ci farò un pensierino. D’altronde quando la voglia di rimettere su un disco non si presenta in maniera massiccia, qualche domanda bisogna pur farsela.
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55%
Summary
Century Media Records (2015)
Tracklist:
01. Scars of the Hatred
02. Ways of Barbarism
03. Dogma of Submission
04. Strength Forged in Fury
05. Soulless Impaler
06. Burning of the Heretic
07. The Isolated Truth
08. Oracle of the Ungod
09. Timeless Starvation
10. Milonga de la Muerte