Incantation – Sect of Vile Divinities

A tre anni di distanza da un Profane Nexus ancor oggi oscuramente scintillante fanno ritorno i maestri Incantation con la dodicesima produzione su lunga distanza.

Il nuovo Sect of Vile Divinities non fa altro che rinverdire un percorso arcigno e completamente devoto alla causa del vero death metal. Mai una mossa fuori posto, mai l’inseguimento di nuove e moderne traiettorie, gli Incantation mettono a fuoco per l’ennesima volta la loro formula e ce la disciolgono davanti con classe rafferma, sopraffina e mefitica.

Profane Nexus mi appare oggi leggermente migliore, ma c’è da dire che Sect of Vile Divinities è cosa che necessita di molto più tempo e gestazione, proprio a causa di una consistenza spiccatamente “melmosa” e attaccata a strutture più viscerali rispetto al suo predecessore. Per questo motivo finisco a deporli allo stesso livello, come magnifici monoliti death metal in età moderna.

Certo sto escogitando nuovi metodi per parlare bene di una cosa nota, stracotta, ovvia e con un profilo inscalfibile e pachidermico. Però questo Sect of Vile Divinities qualche novità a livello di impatto o di movimento generale riesce a mettertela sotto le zanne; un lavoro puramente sensoriale magari, ma un lavoro che fa dannatamente bene il suo. Ci verrà lanciata contro una rete dalla quale non sarà possibile liberarsi con facilità, e una volta compreso questo potremo trovare le nostre angolazioni/sfumature preferite all’interno di una trama fitta, opprimente, a modo suo impenetrabile.

Ogni disco a firma Incantation ha una gestazione, un suo rituale specifico, un ritmo capace di abbattere ogni singola durata. Viaggiare attraverso questi nuovi 45 minuti diventerà un continuo sussulto, spigoli stordenti pronti a stringerti dentro i loro echi infernali.

Ritual Impurity (Seven of the Sky Is One) è l’inizio ideale mentre con Propitiation i nostri ci consegnano nient’altro che un nuovo-semplice classico della loro favolosa carriera (aggiungiamoci anche l’ultima Siege Hive và). Ma proseguendo troveremo i colpi ben assestati di Entrails of the Hag Queen (pregna di rallentamenti d’autore), la magia della breve ma infuocata Guardians from the Primeval e una Black Fathom’s Fire che fa sentire a tutto il mondo che quando vogliono gli Incantation sanno essere anche “agili”.

La seconda parte dell’album è bagnata dalla marcia penetrante/agonizzante di Ignis Fatuus e dalla “divorante” Chant of Formless Dread prima che lo scettro venga consegnato al classico Shadow-Blade Masters of Tempest and Maelstrom e alla lunga, epica e catramosa Unborn Ambrosia.

A non cambiare è anche il gusto per le copertine di valore (e colore), da questo punto di vista Sect of Vile Divinities riesce ad aggiungere l’ennesima opera d’arte alla “collezione degli orrori” gustata a tappe e con tutta calma nel corso degli anni (gioia che accresce -nemmeno a dirlo- con l’acquisto dell’album in vinile).

Eh si, parrebbe che pure con Sect of Vile Divinities riesca loro una vittoria facile-facile. Troppo facile quando ti chiami Incantation.

75%

Summary

Relapse Records (2020)

Tracklist:

01. Ritual Impurity (Seven Of The Sky Is One)
02. Propitiation
03. Entrails Of The Hag Queen
04. Guardians From The Primeval
05. Black Fathom’s Fire
06. Ignis Fatuus
07. Chant Of Formless Dread
08. Shadow-Blade Masters Of Tempest And Maelstrom
09. Scribes Of The Stygian
10. Unborn Ambrosia
11. Fury’s Manifesto
12. Siege Hive