Helloween – My God-Given Right: zucche in marcia tra cori e vecchie abitudini
Come ormai da buona abitudine, eccoci al nuovo appuntamento con le zucche di Amburgo. Il periodo è prolifico, e come da rullino di marcia, siamo pronti ad accogliere My God-Given Right, l’atteso nuovo disco firmato Helloween (per l’occasione si torna sotto Nuclear Blast Records).
Il cammino della band prosegue dunque senza indecisioni. Il gruppo è collaudato da tempo e non sembra intenzionato a modificare granché il tiro rispetto alle ultime produzioni. Tuttavia, confrontando My God-Given Right con i dischi precedenti, si nota una linea più semplice, con la volontà – non troppo nascosta – di insistere su un lato “positivo” (sono pur sempre gli Helloween, e le cose restano in quel recinto lì: si può dormire sereni). Alcune “divagazioni” sono presenti, ma non intaccano mai l’umore generale.
Anche per loro – come per altri Big – vale ormai solo il “fattore songwriting”, ed è inevitabile quando scegli di suonare un genere per l’intera carriera o quasi. Il disco è da considerarsi “Deris-centrico”, con la sua firma a dominare nettamente sul resto (poco più di briciole per gli altri). Farsi un’idea dell’album partendo da questo input sarà senz’altro più semplice; quantomeno si spiega la predominanza di quell’animo sbarazzino già accennato.
Il pedigree non mente: gioia e continuità con qualche riserva
Si può certamente dire che My God-Given Right è più gioia che dolore. Anche se il valore del diretto concorrente Straight Out of Hell non viene bissato. Eppure, il disco non delude: nel 2015, essere ancora qui ad aspettare un nuovo album degli Helloween vale da solo più di mille teorie o paragoni. D’altronde il pedigree parla chiaro, e anche i brani meno convincenti non sono mai davvero brutti. Questo va detto per correttezza, al di là di voti e giudizi.
Ci sarà sempre chi si aspetta di più, e chi parte prevenuto, ma la band ha dimostrato di saper superare le difficoltà, risorgendo da tempo (aiutata prima da Deris e poi da Gerstner). Un timido mezzo passo falso lo si può anche tollerare, soprattutto alla luce di tutto il buono proposto nell’ultimo decennio (senza scomodare altro). Ma considerarlo tale sarebbe riduttivo. Alla fine rimane una sensazione di sufficienza, una situazione di mezzo che impedisce sia di elevarlo che di affossarlo malamente.
Battle’s Won e Creatures in Heaven: il contributo classico di Weikath
Il buon Weikath firma solo Battle’s Won (squillano le trombe!), Creatures in Heaven e Claws (la meno riuscita delle tre). La sua mano si riconosce già al primo riff graffiante, ma è incredibile come le solite maniere non rovinino affatto il godimento: strofe e ritornelli già sentiti – anche di recente – ma così enfatici che finiremo presto per mimarne vocalmente ogni melodia. Creatures in Heaven la vedo bene nelle future scalette live, nonostante il chorus non sia tra i più semplici da inquadrare.
L’opener è affidata a Gerstner: Heroes ha un buon tiro, è corale e sprigiona a distanza chilometrica quell’inconfondibile odore di zucca. La title track è invece l’ennesimo emblema del periodo Deris: uno dei tanti brani da inviare nello spazio per spiegare come ci si diverte sulla Terra con il power metal tedesco. I cori “stile stadio” sono già assicurati per i concerti.
Stay Crazy è la solita party song che fa sempre piacere, mentre Lost in America è una di quelle che si snobbano subito, salvo poi canticchiarne il refrain nei momenti più improbabili. Con Russian Roulé, l’happy metal della band si fonde con melodie tipicamente russe. Il risultato è un po’ contorto e non del tutto convincente, un brano che procede a strattoni e che rappresenta il primo vero inciampo del disco.
Momenti più deboli e qualche deviazione poco memorabile
The Swing of a Fallen World l’avrei vista meglio su The Time of the Oath o The Dark Ride: spezza il clima e getta un velo di oscurità piuttosto spiazzante (forse faticherà più degli altri a “fare bottone”, anche se gli assoli meritano un plauso). Like Everybody Else è una ballad “vitaminizzata” senza particolare lode (Andi, hai scritto di meglio, suvvia), ma come si dice: non tutte le ciambelle riescono col buco. Le canzoni brutte, comunque, sono altre. Lo stesso discorso si applica a If God Loves Rock’n’Roll, dove i Nostri si affidano esclusivamente al mestiere.
Il buon Grosskopf contribuisce con l’anthem gradevole Livin on the Edge. You, Still of War è invece un grosso “ni”: l’avrei evitata più di altre, giusto per racchiudere l’album in uno spazio più contenuto (sette minuti suonati a corrente alternata fanno più male che bene).
Poi mi guardo indietro, scorro i titoli precedenti e mi ritrovo a pensare che sì: My God-Given Right è l’album meno bello del – per me equilibratissimo – periodo post-The Dark Ride (finisce a giocarsela ai punti con Rabbit Don’t Come Easy). Ma non è un problema: anche senza il peso delle grandi occasioni, un disco degli Helloween lo si ascolta sempre con gioia e sacro gaudio. Quattro highlights vengono consegnati alla loro storia – Heroes, Battle’s Won, title track e Creatures in Heaven – il resto starà a giocarsi le vostre personali preferenze.
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63%
Riassunto
Nuclear Blast Records (2015)
Tracklist:
01. Heroes
02. Battle’s Won
03. My God-Given Right
04. Stay Crazy
05. Lost in America
06. Russian Roulé
07. The Swing of a Fallen World
08. Like Everybody Else
09. Creatures in Heaven
10. If God Loves Rock ‘n’ Roll
11. Living on the Edge
12. Claws
13. You, Still of War
1 commento
Aggiungi il tuo →Salviamo Battle’s Won e Creatures In Heaven (che hanno lo stesso identico ritornello trito ritrito delle solite canzoni salvabili degli ultimi 20 anni di Helloween), il resto è pattume allo stato puro.
Per chi ama il power metal melodico ci sono centinai di gruppi qualche spanna sopra questi ridicoli Helloween, in primis i Freedom Call.