Ritornano gli eroi olandesi del viking/folk Heidevolk dopo l’esattamente non riuscitissimo Velua (l’unico loro album a lasciare trasparire attimi di noia). Nel frattempo passano tre proverbiali anni, tre giri da dodici mesi e una giusta dose di tempo per riflettere, per pensare meglio alle azioni da compiere dopo i vari terremoti avvenuti in line up. E’ così che Vuur van verzet taglia sul nascere le preoccupazioni lasciando scorrere meglio l’olio fra le canzoni, e pazienza se i migliori dischi del passato non verranno nuovamente avvicinati, l’importante era vedere una pronta ripresa (filtrata attraverso il tema della ribellione, e qui la copertina fa il suo dovere sino in fondo) e tanto ci basta.
Meno ruvidi e più propensi alla ricerca della hit da traino (inutile negarlo) ma nonostante tutto ancora piacevoli da mettere li a scorrere. C’era sicuramente il rischio di vedere realizzato un crack sul versante negativo, ma ciò viene scongiurato grazie alla brillantezza subito ritrovata; gli Heidevolk si lasciano in tal modo ascoltare, compiendo una sorta di evoluzione “bella e slanciata”, dai richiami nettamente più limpidi sopra quei tipici innesti ai quali ci hanno sempre abituato. Tutto questo comporta la scelta di optare per la lingua inglese a più riprese, scelta che successivamente ricade sui brani definibili come più catchy. Ma il loro tipico e subito distinguibile linguaggio resta ben ancorato in sella, resta per tranquilizzare un pochino tutti, perché gli Heidevolk per il momento non hanno intenzione di abbandonare le radici e l’amore per le gesta della loro terra. L’aspetto vocale per gli Heidevolk è a dir poco nevralgico tanto da poter spostare non di poco (e con poco) gli equilibri, ma per fortuna questo viene subito cementificato e il rapporto tra il barbaro Lars NachtBraecker e l’epico Jacco de Wijs può dirsi cosa riuscita appieno nonché possibile rampa di lancio per future e maggiori gioie.
Vuur van verzet mi ha portato a questa positività dopo un primo passaggio poco “prolifico” per quanto concerne le emozioni. Ma per fortuna le giuste sensazioni hanno cominciato a camminare da lì a poco, giungendo ben presto su livelli “grassi e trionfanti” (da notare la cura riposta nei cori molte volte “nascosti” ma assolutamente nevralgici), quantomeno inaspettati se teniamo conto dell’opaca prima stretta di mano avvenuta (un brano che definisce al meglio il discorso è senza dubbio The Alliance, da quasi anonima a status di piccola perla grazie anche alla presenza della magica voce di Alan Nemtheanga dei Primordial).
L’album contiene due ossature, la prima e più corposa è quella che collega la corale e solida Ontwaakt a Onverzetbaar e alla successiva meraviglia Yngwaz zonen (brividi) più la già menzionata The Alliance e la folk-andante Tiwaz. L’altra comprende le immediate A Wolf in My Heart (già immagino i deliri dal vivo), Britannia, la rapida Gungnir più la melodiosa strumentale Het oneindige woud (anche qui quanto fanno bene i ripetuti ascolti, che bellezza!). Invece le ultime due Woedend e Het juk der tijd non sono affatto male, ma sento che in qualche modo raffreddano il tutto, impedendo al disco di raggiungere vette globali più elevate.
Non c’è che dire, il motore Heidevolk ha ripreso a girare.
- - 70%70%
Summary
Napalm Records (2018)
Tracklist:
01. Ontwaakt
02. A Wolf in My Heart
03. Onverzetbaar
04. Yngwaz zonen
05. Britannia
06. The Alliance
07. Tiwaz
08. Het oneindige woud
09. Gungnir
10. Woedend
11. Het juk der tijd