At Every Door è il terzo disco per i finlandesi Hanging Garden, e pone in bella vista il cartello “evoluzione in corso”
Un’evoluzione che, forse, si renderà più evidente a partire dalla prossima release. Con At Every Door gli Hanging Garden si fanno notare tra le pieghe di un death doom dalle forti tinte melodiche, attraversato da accenni post sparsi con discrezione qua e là.
Basterebbe consigliare il disco agli ascoltatori più affezionati degli Swallow the Sun per chiudere velocemente il cerchio, senza perdersi in troppi giri di parole. Se la componente solida e pesante resta ancorata alle radici del genere, quella melodica affonda con decisione nel terreno fertile del metal finlandese, richiamando alla mente formazioni forse più accessibili come Insomnium e Barren Earth (questi ultimi citati non a caso, per evitare i soliti nomi scontati come Amorphis).
Le chitarre vibrano profonde e penetranti, e i brani – pur non durando eoni – non hanno mai fretta di correre. Si prendono il loro tempo, lo usano con attenzione, evitando qualsiasi spreco. L’empatia, per chi è predisposto, può scattare già al primo ascolto, ma sono quelli successivi a consolidare le radici piantate con pazienza. La crescita è graduale, ma concreta.
Ci sono dischi che ti entrano dentro visceralmente, altri che restano di più ai margini, orbitando e colpendo di tanto in tanto con stoccate improvvise. At Every Door rientra in questa seconda categoria: ti sfiora, e ti lascia un velo costante di freddo distacco. Concede confidenza, ma mai troppa. E quando ti avvicini troppo, ritrae quasi la mano. È un disco di melodic death doom capace di farti guardare attorno invece che dentro. Una cosa spiazzante, forse, ma alla quale ci si abitua, grazie alla qualità delle canzoni.
Lentezza e profondità: il tempo come protagonista
Più tempo gli dedichi, più ne comprendi la forza. E sì, di forza si può parlare anche senza trovarsi davanti a un capolavoro. Non c’è nulla, in At Every Door, che urli al capolavoro, ma il tutto funziona: l’insieme è coeso, scorre fluido, coerente. Ti accoglie, senza illuderti. E, a volte, è proprio questa la miglior forma di sincerità artistica: non promettere troppo, ma mantenere sempre tutto. Non eccede mai, ma non delude mai. Resta lì, in una zona sospesa, su un limbo sonoro che avvolge e stordisce con la dovuta calma.
Potrei consigliarvi la veemenza dell’opener Ten Thousand Cranes, il refrain alla Swallow the Sun in Wormwood, la quasi strumentale title track (e qualcuno potrebbe anche sussurrare Cult of Luna), oppure la delicata poesia di The Cure (un omaggio, o forse un favore, alla band di Robert Smith). Ma sarebbe inutile. Ascoltatelo tutto, senza preconcetti, dall’inizio alla fine: vi sorprenderà più volte, in modi diversi.
Naturalmente, questa è una visione personale. Un ascoltatore più razionale e allineato al ritmo convulso dei tempi moderni potrebbe trovare At Every Door noioso, lento, addirittura respingente. E in parte avrebbe ragione.
Ma per chi ama i bassi profondi, l’oscura quiete dell’improvvisazione, e un certo tipo di introspezione sonora che si insinua lentamente sotto pelle, questo disco può essere una scoperta da custodire.
Gli altri, semplicemente, possono volgere altrove lo sguardo.
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70%
Summary
Lifeforce Records (2013)
Tracklist:
01. Ten Thousand Cranes
02. Ash And Dust
03. Hegira
04. Wormwood
05. At Every Door
06. The Cure
07. Evenfall
08. To End All Ages