Funeral – To Mourn Is A Virtue

L’antico splendore, il recupero di un monumento importantissimo e della classe di chi aveva contribuito a plasmare un genere come il funeral doom metal. C’è voluta un’opera di “restauro” per riottenere la creatura norvegese Funeral su livelli d’assoluta eccellenza (gli ultimi dischi non sono per niente brutti, ma rispetto all’imponente tragicità degli esordi era anche facile “venire meno”), le radici di questo To Mourn Is A Virtue sono difatti da ricercarsi negli anni 1996/1998, ma si arriveranno a sentire anche composizioni più recenti, scritte al massimo fino al 2004. Insomma, un lungo lasso di tempo che però non rovina una operazione costruita a dovere, fatta per restare a lungo nei nostri cuori letteralmente frantumati dalle molteplici esperienze avute giorno dopo giorno.

Non troverete nemmeno uno “scarto” su To Mourn Is A Virtue, è bene non farsi ingannare dal fatto di trovarsi davanti un full-lenght mascherato da compilation (sebbene di inediti), anzi i Funeral esprimono la loro classe su livelli assoluti, e pazienza se la voce femminile non arriva a completare del tutto il matrimonio con il passato (quello maschile è sofferto quanto basta, e comunque il contentino “female” lo avremo egualmente nella conclusiva e breve Wrapped All In Woe).

Non sarà facile affrontare l’ora e dieci minuti complessiva, la predisposizione alla totale sofferenza è necessaria, anche perché restare esposti ad un così lungo tempo a a tale dolore musicale non è certamente cosa da tutti. Bisognerà lottare per entrare al meglio nel disco, per “sudarselo” sino in fondo, per gustarsi ogni decadente sensazione che riesce a trasmettere. Viscerale ed ipnotico, To Mourn Is A Virtue riuscirà nel tempo ad “aprire” varchi impensabili, il suo ascolto diventerà per magia sempre più leggero, dando allo stesso tempo tanta, forse troppa “dipendenza”.
Ascoltarlo è una continua e piacevole tortura, perché quando credi di aver toccato l’apice emotivo definitivo i Funeral te ne piazzano un altro d’altrettanta intensità pochi minuti dopo. Questo è il tesoro sprigionato da To Mourn Is A Virtue, riuscire a mantenere uno standard elevato e riuscire a rinnovarlo ad ogni potente e lento passo.

Emozioni strazianti pervadono Hunger, penso che le mie orecchie poche altre volte abbiano sentito una simile e perfetta decadenza musicale protratta per lunghi minuti. Le vocals (sono due gli interpreti maschili) non concedono la minima speranza di “riuscita”, sono in parole povere “l’assenza di positività definitiva”, basteranno i pochi versi iniziali per gettare addosso all’ascoltatore quintali d’inaudita sofferenza. Si resta in tal modo anestetizzati, stregati a dovere, e li si rimarrà sino alla fine, in uno stato “imbambolato” consapevole. Attraverso l’oscura nenia God? , (preghiera pregna di romanticismo dalla quale sarà impossibile evadere) e la totale Your Pain Is Mine (quanto sentimento sgorga da quelle chitarre) si arriva ad una The Poison semplicemente catalizzante, capace di bloccarci sul posto durante i suoi troppi brevi cinque minuti. Per capire di che pasta siano fatti i Funeral c’è la seconda metà dell’album, se vogliamo ancora più opprimente, tortuosa e lunga della prima, iniziata da una Dancing In A Liquid Veil per la quale grandiosità mi è difficile trovar giuste parole. E’ invece lacrimevole How Death May Linger (arte pura), canzone distributrice di passaggi fondamentali per comprendere appieno la grandiosità dell’opera. Father è un altro canto gotico, disperato e lancinante che si lascia andare in maniera splendida su un finale liberatorio. Tastiere eteree faranno da sfondo a tutto il full,  ma sono protagoniste fondamentali di alcune canzoni come nel caso di Blood From The Soil, ariosa e “diurna” a modo suo, ma pur sempre “diabolica” quando si tratta di bloccare il fiume delle speranze. Alla fine -come accennavo in apertura- troveremo la sorpresa al “femminile”, Wrapped All In Woe è un’altra perla di valore incredibile, tanto delicata  quanto semplice, sollevata magicamente dai soavi gorgheggi misti ad un indovinato narrato maschile. Non poteva venir pensato finale migliore per un masterpiece di queste proporzioni.

To Mourn Is A Virtue si impone senza paura come capolavoro, poco importa se del presente o del passato. Ascoltare funeral doom ed evitare (o non sentire propria) un’uscita di questo tipo equivale a giungere al più completo fallimento personale. Ogni frammento merita di essere ascoltato con la massima attenzione e passione, il dolore si prenderà inizialmente tutto (bisognerà scenderci a patti), ma lascerà -col tempo- posto alla quiete tanto faticosamente cercata.

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Summary

Solitude Productions (2011)

Tracklist:
01. Hunger
02. God?
03. Your Pain Is Mine
04. The Poison
05. Dancing in a Liquid Veil
06. How Death May Linger
07. Father
08. Blood from the Soil
09. Wrapped All in Woe