Nati nel 1999 i canadesi Fuck the Facts hanno cominciato a sfornare idee su idee in maniera a dir poco nevrotica, l’appuntamento con il loro grindcore è diventato così una specie d’incredibile costante (potevi stare tranquillo che qualcosa bolliva sempre in pentola) di sicuro affidamento, come una fabbrica in pieno “delirio da consumo” . Sono stati ben pochi i momenti di “riflessione”, soprattutto mai troppo lunghi e perlopiù concentrati nell’ultimo quinquennio. Ma d’altronde l’età avanza, le difficoltà aumentano e lo spazio per la musica (da suonare e da ascoltare) diventa sempre meno.
Ma i Fuck the Facts sono ancora intenzionati ad irrompere dentro i nostri padiglioni auricolari (a calare è solo la quantità, non la qualità) e il buon ultimo Desire Will Rot sta li a dimostrarlo dall’alto della sua esperienza. Sarà proprio questa parola a sancire e sigillare la bontà di un disco che -sono certo- in molti si sognerebbero di realizzare ai giorni nostri. Si, perché da che parte lo si giri il risultato non cambia l’eccitazione e la voglia di ascoltare ripetutamente un album come questo. Un disco che da una parte evidenzia tutta l’esperienza possibile, mentre dall’altra ti butta giù gli anni passati come tronchi nel disboscamento, si perché questi ragazzi non sembrano avvertire lo scorrere del tempo, di una carriera sempre più ingombrante alle spalle, ed agiscono ancora con la classica “bava” di quei cacciatori alle prime armi.
La produzione ci confeziona un bel “pacchetto chitarre” dall’attitudine eclettica, spinosa e martoriante (si sa ovviamente come offendere ma anche come “abbellire” di tanto in tanto) ed un basso spazioso e dai risvolti fortemente “inquietosi”. La scena è splendidamente preparata alla furia vocale della sicura e “triviale” Mel Mongeon, sempre pronta nel chiudere ogni tipologia di velocità (coadiuvata al solito da Marc Bourgon per le backing). Desire Will Rot scorre che è un piacere, fra tecnica e gustosi sanguinamenti, da una parte la pulizia non ci verrà mai sottratta ma anche la voglia di “mangiarsi i secondi” farà la sua comparsa, almeno prima di un terzetto finale atto a spezzare la trama (formato da False Hope, Circle e Nothing Changes), e capace quindi di bloccare -a modo suo ovviamente- alcune cose (certo, rimane pur sempre una parola grossa quando si parla di loro).
E’ l’ispirazione a guidare questi attacchi su intricati spazi stretti, fra rullate, “scomposte melodie” ed una prestazione vocale grattata ed abrasiva, subito chiara nelle intenzioni di voler dare tutto in ogni fottuta occasione (soprattutto noncurante dei possibili rischi a cui va incontro). Desire Will Rot cattura subdolamente, riesce a dispiegare energie portando la noia a guardare altrove, non si fregerà del termine “capolavoro” ma accresce sicuramente il suo potenziale pezzo dopo pezzo, ascolto dopo ascolto. Insomma, un pensiero a riguardo è più che lecito farlo. Canzoni preferite: Everywhere Yet Nowhere, Solitude e False Hope.
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Summary
Noise Salvation (2015)
01. Everywhere Yet Nowhere
02. Shadows Collide
03. The Path of Most Resistance
04. La Mort I
05. La Mort II
06. Prey
07. Storm of Silence
08. Solitude
09. False Hope
10. Circle 07:55
11. Nothing Changes