Espressione di controllata potenza, con melodie a lambire le ossa, sotto una tempesta ritmica dai toni a dir poco martellanti.
I Forgotten Horror riuniscono dentro un’unica forma l’asse death metal formato da Morbid Angel–Vader–Behemoth con la corrente black metal melodica svedese (più qualche ornamento greco, non so come, ma sento di proporli a chi è solito ascoltare i Septicflesh nonostante la diversità sia evidente), eppure loro sono finlandesi e ciò emerge prepotentemente (lo si sente soprattutto nell’impostazione, sul ritmo), arrivando a differenziare un minimo il prodotto.
Prodotto che assume contorni mistici ed “ingombranti”, se vogliamo pure grassi o poco fluidi, più difficili da digerire o elaborare sul breve, il classico prodotto capace di uscire fuori in tutta la sua grazia solo sulle lunghe distanze (e solo a quel punto capace di guadagnare con magica incomprensione posizioni su posizioni).
Nel suo scorrere acquista toni sempre più epici (evidenziati molto bene nella seconda parte di album) ed importanti, con poco si riesce a destabilizzare alcune situazioni date magari troppo per scontate in partenza. Chitarre e batteria macinano in totale piacere, traggono beneficio da ciò reciprocamente, a maggior ragione quando le fucilate melodiche irrompono per ingraziarsi e circoscrivere l’ambiente (manate di sabbia lanciate con accuratezza tutt’attorno).
La prima fucilata prende il nome di Behold A Shadow Goddess (dopo l’adeguata -e priva di fronzoli- introduzione The Adept), il brano denota una buona impostazione vocale aggressivo/sacrale accompagnata sul finire da indovinati interventi femminili. …Of Man’s First Rebellion prosegue nel suo particolare abbraccio trita tutto (ma in grado di generare aperture), mentre a Lilithian spetta il compito di alleggerire la portata con ampi giri di notturna melodia (bellissime le strofe e la lead guitar in puro Dissection style).
Affresco vario e prorompente quello di In Ravenous Darkness (The Shores of Mictlan), capace di sfociare su un finale di chiaro stampo Cradle of Filth (con la soprano ancora a colorare, presenza centellinata ma sempre gradita). Queen of An Ivory Moon con la sua miscela di velocità e melodia va ad innalzare ulteriormente il prodotto, Babalon Emissaries spinge con un riffing dai tratti orientali senza dimenticare retaggi ora epici, ora thrash, ora più melodici. Silhouette onirico/impattante per Her Crescent Horns (una di quelle che richiede più tempo e spazio), portata via dall’atto finale di The Ghost of Time, un pezzo assolutamente sopraffino (la prima strofa atmosferica è da leccarsi, poi ciò che ne consegue unisce e scompone influenze varie al meglio delle loro possibilità).
E’ difficile, molto difficile inquadrare esattamente il valore di quest’album, ho pensato di ergerlo a top album in più di una occasione ma qualcosa mi ha sempre trattenuto dal farlo, ci ho riflettuto, l’ho riposto e poi ripreso (sempre con gioia, bisogna dirlo), non si può certamente cancellare il fatto di quanto mi piaccia -e nemmeno poco- ma quel piccolo passo in più verso la totale e definitiva consacrazione non riesco infine a conferirlo.
Aeon of the Shadow Goddess rimane un gran bel disco, che riascolterei a volontà quando lo spirito d’interpretazione appare per esigere il suo meritato ed ingombrante tributo. Ma il “successo” sfiorato non deve creare allarmismi, l’album è bello da cima a fondo, certamente impervio, capace di tirare fuori tratti di pregevole fattura come il più classico dei fulmini a ciel sereno. Puro stampo di garanzia marchiato Woodcut Records.
Il disco è la partenza, o un “completamento” di uno specifico percorso del leader Tuomas Karhunen, direi che il messaggio è arrivato bello forte, certamente crescente quanto l’impegno alla base profuso.
- - 74%74%
Riassunto
Woodcut Records (2015)
Tracklist:
01. The Adept
02. Behold a Shadow Goddess
03. …Of Man’s First Rebellion
04. Lilithian
05. In Ravenous Darkness (The Shores of Mictlan)
06. Queen of an Ivory Moon
07. Babalon Emissaries
08. Her Crescent Horns
09. The Ghost of Time