Forzuto brutal death metal affogato su vibranti tralicci di tecnica. Possiamo anche tirare fuori il comune detto “dal Brasile con furore” annunciando l’ep Humanicide, prima uscita “professionale” -datata 2012- da parte del monicker Forceps.
L’ep non si mette ad innescare grossi grattacapi e anzi, nei suoi 22 minuti troveremo una fedele compagnia, qualcosa che non delude le ovvie quanto “scarse” aspettative che si manifestano quando si comincia ad ascoltare un gruppo mai sentito nominare in precedenza. Il quartetto sa indubbiamente suonare, sa creare ritmi spacca-ossa con discreta continuità, ma soprattutto sa proporre una minima variazione al tema principale; non si ha un solo brano che “tiri una linea retta”, i brasiliani sanno modificare di botto l’atmosfera passando da una certa “gutturalità” (mai troppo eccessiva o sconfinante in altri territori) a linee sinistramente melodiche, momenti selvaggi fanno poi da contrapposizione ad abili dimostrazioni tecniche, “momenti pregiati” dove i ragazzi dimostrano di sapere come si mantiene il controllo senza danneggiare l’incedere o un songwriting fluido e solido.
La produzione si prende i suoi meriti e riesce a dare preziosa linfa vitale al sound, non “fa danni” (un nodo sempre cruciale) e conferisce risalto ad ogni “mattoncino” dell’insieme (basso e batteria sono quelle che ne traggono maggior vantaggio, ma anche le chitarre si faranno ben apprezzare). Ho avuto netta sensazione che remi più a favore degli strumenti piuttosto che nei riguardi della “potenza generale”, e questa cosa l’ho veramente gradita molto.
Il cantante non usa solo il growl, ma si diletta pure con qualche parte urlata, sgolandosi per grattare via il possibile (questa “versione” mi ha pure convinto più del growl) senza fare mai cose troppo assurde, riesce comunque ad essere convincente e trascinante.
I meccanismi devono essere stati testati a lungo, lo si capisce già dalla prima Harvest, dove tutto appare realmente perfetto, ma le traccie che ho prediletto sono la seconda Dehumanization (qui il songwriting della band raggiunge l’apice di tutto Humanicide secondo miei gusti) e la cruda, pesante e sofferta The Born Ones.
Vi lascio la sorpresa -se volete- delle restanti due fustigate, ma come intuibile lo standard qualitativo non scende, e il godimento può continuare serenamente a fluire assieme al suo basso profilo.
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Summary
Ossuary Industries (2012)
01. Harvest
02. Dehumanization
03. The Born Ones
04. Transmutation of Internal Organs
05. Processing Human Brains