Fiave – Dall’alto di una roccia

Ci sono prodotti underground davvero perfetti, un qualcosa che ti fa alimentare pensieri “puri”, sputati fuori nell’unico modo possibile/immaginabile. Un ritorno all’antico, dentro quella dimora confortevole che in tante occasioni ci ha offerto rifugio da quel mondo sempre più assurdo e privo d’ogni traccia di passione. Con i Fiave ritorna lo spettro della Norvegia che fù (e non potrebbe essere altrimenti visto il concept “pestilenziale” incentrato sulla leggenda del villaggio fantasma di Irone), niente più, niente meno (e scusate se è poco), un modo di far vibrare gli strumenti per ricreare scenari naturali, epico/ferali e soprattutto mistici. Una gioia ascoltare questa mezz’ora scarsa, un rilievo montuoso completamente innevato tutto da scalare, da respirare a pieni polmoni mediante un rituale nostro, intimo, personale. Si ritorna a sentire l’eco, la voglia di stupire con armi ben conosciute ma certamente non stucchevoli se riproposte in tal modo.

Epicità, momenti selvatici e lampanti tocchi d’atmosfera si danno il cambio con efferata e mai sbagliata continuità, Dall’alto di una roccia riesce a creare un suo mondo preciso, proprio come sapevano fare alcuni gioielli di breve durata sparsi in qualità di “funghi preziosi” nel bel mezzo degli anni novanta. Un processo partito da lontano, la creazione dei pezzi è difatti avvenuta nel biennio 2006/2008 per poi trovare “vita” solo sul finire del 2013 e successiva realizzazione in questo 2016 (anche se autoprodotto).

I Fiave con questa particolare uscita convincono chiamando silenziosamente a raccolta ormai vecchi e rattrapiti sogni (a parlare basterebbe la nebbiosa produzione, sporca e fosca quanto volete ma anche precisa nell’evidenziare ogni strumento e relativa essenza) . Basta sinceramente questo per dirigere un poco di attenzione nei loro confronti, anche perché se il livello sarà mantenuto o addirittura migliorato ci sarà da gridare (ma farlo forte!) per avvisare i più addormentati che hanno da anni smesso di cercare.

Dedicato o meglio “indirizzato” a chi ha lasciato l’anima sulle prime produzioni di Satyricon (alcuni spaccati di “E con sè tutti i lamenti, lasciando il loro significato al tempo” fanno sussultare al miracolo e all’essenzialità di un lavoro come Dark Medieval Times), Taake (come non godere sulle lapidarie chitarre di “E il custode accoglieva con sè cenere e morti”) o Ulver/Borknagar e Perished.

Fiave, sono ancora piccole cose, piccole dosi ma senz’altro anche grandi piaceri.

Summary

Autoproduzione (2016)

Tracklist:

01. Il primo canto di preghiera nel freddo sentiero di Irone
02. E il custode accoglieva con sè cenere e morti
03. Scorreva la vita nel pozzo dei ricordi
04. E con sè tutti i lamenti, lasciando il loro significato al tempo
05. Delle parole restava il silenzio
06. E le memorie si liberarono nell’ultimo canto di preghiera