Bel monolite death doom quello partorito dagli americani Druj in occasione del loro primo passo discografico di livello. Chants to Irkalla è materia impossibile da scalfire, il classico album con il quale dover scendere prima a patti, quello che devi digerire e poi masticare con cura ed estrema calma (usa una metodologia di “accensione e spegnimento”). I Druj sono abili nell’intrecciare magma lento ed efficace e con i loro riffs ci strappano di dosso la pelle poco alla volta a seconda dell’avanzare della tracklist. Avvertiremo il bisogno di respirare perché i nostri guardano molto al passato e giocano su perenni movenze secche e primordiali. Il loro modo di agire “rivelerà” molto agli attempati e poco a chi si è lasciato invaghire da suoni e rintocchi più vivaci anche in territorio doom. Insomma, Chants to Irkalla ci da una sonora svegliata, ci ricorda le origini e le fasi underground e sporche della musica estrema, lo fa bene e con la dovuta passione e questo sicuramente basta per voler finire dentro la “trappola” costruita per l’occasione.
Non potremmo desiderare di più che i dieci minuti della opener Ziggurat Ablaze. Un pezzo cadenzato che trasuda classe per merito di un lavoro ai fianchi costante e inaspettatamente “vivo”. Si scende nelle profondità e mai ce le dimenticheremo, si esplora con calma l’ambiente circostante rischiando il soffocamento, peculiarità che si farà ancor più schiacciante durante l’esposizione dei brani volti a seguire.
Il disco è pieno di spunti pregevoli, spunti che segnaleranno presenza poco a poco, a seguito di continui/ossessivi ascolti. E sarà così che Chants to Irkalla troverà rafforzamento, riuscendo nell’operazione di spartire dolore e dannazione nel mezzo di una strana “pace dei sensi”. Bisogna scenderci a patti ma poi verremo ripagati alla grande, con ogni passo che vale come un ampio passo, un gradino sempre più vicino al centro della terra.
E’ serpeggiante e pungente He Who Drinks of Namma, un cambio di marcia accennato e pronto a spegnersi con puntualità sulle note di una mefitica e oscura title track (quasi compromettente se vogliamo, ma argomento imprescindibile dell’insieme) . La prova vocale non scappa mai dal gutturale, non si vogliono aprire spiragli da questo punto di vista, al massimo verranno create delle piccole brecce -a mo di miraggio- nel granito da delle chitarre che ogni tanto un pensiero a riguardo lo fanno sul serio.
Consort of Sin fa riprendere la discesa immersa mani e piedi nel “vecchio stile”, una discesa che non conoscerà più soste. Saranno prima le note rituali e circoscriventi di Invoke a consolidare la questione mentre ad Ashes of Immortality spetterà l’ingrato compito di chiudere un disco (sono sicuro) che farà ricordare -nel suo piccolo- un forte sapore anche a distanza di anni.
Summary
Godz ov War Productions (2018)
Tracklist:
01. Ziggurat Ablaze
02. He Who Drinks of Namma
03. Chants of Irkalla
04. Consort of Sin
05. Invoke
06. Ashes of Immortality