Avete costante nostalgia di un disco come Hexerei Im Zwielicht Der Finsternis? Siete ancora li a struggervi perché il monicker Aghast non si è più manifestato nel corso di lunghe ere? Bene, qui c’è giusto qualcosa per sopperire a questa particolare mancanza, qualcosa di cui forse ignoravate l’esistenza. Sarà dunque meglio correre ai ripari, e parlarvi di Draugurinn (l’innato richiamo di boschi, foreste o natura che aziona le sue perfide volontà).
Innanzitutto c’è già un primo disco dal titolo Dauðadá da assimilare ed interiorizzare per bene (ma se ne parlerà magari in altra occasione), prima tappa di un percorso tortuoso e rituale, che vede il proprio “annullamento” sul qui protagonista Myrkraverk. I due album sono come la faccia della medesima medaglia, questo risulta in qualche maniera meno vario, diciamo che si concede mal volentieri a certe divagazioni in grado di aiutare l’ascoltatore nell’affrontare un viaggio sonoro perennemente austero. Questi primi due lavori rappresentano due metodi diversi di proporre un’esagerata e solida ritualità.
Le atmosfere prodotte da Disa (conosciuta anche per i progetti Turdus Merula e Korpblod) hanno davvero dell’incredibile. La ragazza svedese è preparata, e si rinchiude a dovere nella sua solitudine prima di distribuire preziosa musica a terzi. Il sacro e il “terreno” si respirano istantaneamente, senza il biogno che qualcuno ci spieghi o indichi il perché o percome.
Sono presenti le chitarre (non sempre si hanno su un genere oscuro come il dark ambient) e alcune spettrali voci declamatorie, ma questo non modifica di certo in negativo una proposta nata per essere totalmente introspettiva e naturale. Le basi dark ambient sono freddi manti ben poco mutevoli, Disa gioca spesso con la sovrapposizione di strati sonori, semplicissimi se vogliamo, eppure dal sicuro effetto. Le chitarre vengono adagiate sopra a recitare pacate nenie di attesa (dovrebbe essere lo strumento “più caldo” ed invece rappresenta quasi la distanza), affiancate da diversi e ricercati suoni (mai fastidiosi o fuori luogo) che preparano il campo per i gelidi sospiri della “strega”.
Myrkraverk va ascoltato di notte, al di fuori di ogni “umana concezione”, quando la civiltà sparisce per lasciare posto a ciò che resta della natura incontaminata. Le emozioni e i sentimenti che riuscirà a scaturire saranno mutevoli e assolutamente imprevedibili. Doveroso sottolineare come queste costruzioni siano indirizzate esclusivamente ai profondi conoscitori del genere, individui ben consci di ciò che sta per succedere. Avvicinarsi a Myrkraverk con l’approccio sbagliato scaturirà solamente noia ed immutata incomprensione (e sarebbe un vero danno visto come la creatività sia invero di altissimo livello).
Potrei parlare di quanto è bella l’intro Móðir ringulreiðarinnar, della flebile staticità di Urðarmáni, o dell’incedere cerimoniale di Andsetin. Anche la genuina “spettralità” di Þurizas sale agli onori (quale quiete riesce ad emanare), in ogni caso finirei a parlere a vuoto, da me e per me. Qui ogni momento, ogni singolo suono conferisce un colore fondamentale ai fini del percorso scelto, un cambiamento impercettibile pronto a chiederci il saldo sul finale, dove una sorta di mutazione carnale, organica ed agghiacciante sarà pronta a lasciarci in preda di una affidabile follia.
Quindi “lasciate ogni speranza voi che entrate” e abbandonatevi a questi tenebrosi richiami, piccoli passi nel buio alternati a visuali di piccole, languide e scrutatrici fiamme in lontananza.
Summary
Le Crépuscule du Soir Productions (2011)
Tracklist:
01. Móðir Ringulreiðarinnar
02. Urðarmáni
03. Andsetin
04. Þurizas
05. Nornaskapur
06. Kvæði Uruzar