Tre anni dopo Diabolical, i Destruction ritornano con l’album Birth of Malice, ancora una volta sotto Napalm Records.
Ero davvero molto curioso al riguardo. Diabolical mi aveva pienamente convinto e nutrivo aspettative adeguate al peso del nome della band. Posso dire che, con Birth of Malice, i Destruction proseguono la loro carriera senza sbavature, anche se senza raggiungere i livelli del precedente lavoro.
Non è stato, tuttavia, uno degli ascolti più immediati. Il primo approccio mi aveva lasciato piuttosto freddo e distaccato, con Destruction come unica traccia realmente riuscita e convincente al 100%. Tuttavia, i successivi ascolti hanno dato i loro frutti, permettendo a ciascun brano di ritagliarsi il proprio spazio vitale.
Così, nonostante qualche insidia, posso affermare senza problemi che Birth of Malice non è affatto un brutto album. Rimane saldamente ancorato a quel nucleo di dischi targati Destruction che oscillano tra una sufficienza abbondante e una più stiracchiata, a seconda dei singoli casi.
Il buon vecchio Schmier è ormai ben “protetto” da elementi fidati come il batterista Randy Black e la coppia di chitarristi formata da Damir Eskić e Martin Furia. Proprio questi ultimi sembrano aver preso particolarmente a cuore il monicker Destruction, contribuendo a traghettarlo attraverso quelli che, forse, sono gli anni più delicati della carriera della band.
Con l’ispirazione delle chitarre da un lato e l’orgoglio dall’altro, Birth of Malice svolge egregiamente il suo compito. Certo, non punta a sorprendere, ma come ennesima lezione di thrash metal teutonico, direi che ci siamo eccome.
Già anticipato di una spumeggiante Destruction, brano che richiama i fasti del passato ed esalta con un ritornello trascinante, Birth of Malice si presenta con una produzione che enfatizza un sound compatto ed energico.
Cyber Warfare colpisce con ordine e potenza, rientrando perfettamente in quella categoria di brani che i Destruction non fanno mai mancare negli ultimi tempi. Tuttavia, di meglio arriva poco dopo, con la doppietta formata da No Kings – No Masters e Scumbag Human Race: la prima più veloce e incisiva, la seconda dal passo più disteso ma altrettanto martellante.
Ma l’album regala altre chicche da non sottovalutare, come l’inno God of Gore (riffing classico ma con un ritornello che si imprime subito), la lenta e implacabile A.N.G.S.T., vera schiacciasassi dal carattere ragionato, e soprattutto Dealer of Death, la mia personale perla, impreziosita da un chorus d’autore (unitamente a quel lavoro di uncino delle chitarre) che adoro senza riserve. Anche la melodica Evil Never Sleeps tesse la sua trama e riesce a intrigare. Bisogna riconoscere che i Destruction si sono impegnati nel tentativo di dare, per quanto possibile, un taglio diverso ai vari brani.
Realizzare un album come Birth Of Malice a questo punto della carriera è un traguardo tutt’altro che scontato se vogliamo ben vedere. Cercate solo di non sottovalutarlo come “l’ennesima uscita targata Destruction”, e forse riuscirete a gioire per l’acquisizione di una nuova pagnotta.
Summary
Napalm Records (2025)
Tracklist:
01. Birth Of Malice
02. Destruction
03. Cyber Warfare
04. No Kings – No Masters
05. Scumbag Human Race
06. God Of Gore
07. A.N.G.S.T.
08. Dealer Of Death
09. Evil Never Sleeps
10. Chains Of Sorrow
11. Greed
12. Fast As A Shark [Accept cover]