Le cure e le attenzioni da parte della Transcending Obscurity Distribution nei riguardi della propria scena ci rendono partecipi di questo disco d’esordio stampato originariamente nel 2013 (si parla di un imminente secondo lavoro, ma si sa, finché nulla si vede/sente è anche inutile disquisirne). Gli indiani Chaos iniziavano la loro storia con un discreto botto (diciamo poco vistoso, ma bello forte), con quel tipo di disco irruento che sempre vorremmo ascoltare da una band intenta a smuovere per la prima volta la testa dal suo “timido” guscio . Violent Redemption nella sua brevità (32 minuti circa) tiene una sfrenata compagnia, ti acchiappa impedendoti di lasciare la presa, si lascia vivere senza mai lambire territori fiacchi o fatti di vana distrazione. L’album sfonda senza l’uso di improbabili trucchi, e si prende le meritate attenzioni sulla scia di una produzione in grado di colpire istintivamente e con facilità, favorendo le nostre capacità di arrivare dritti al dunque (quasi ti invade e si premura pure di chiederti il permesso).
Thrash metal eruttato fuori con assoluta rabbia e voglia di fare, ogni poro verrà messo a disposizione in qualità di cannone per questa sorta di “guerra dalle poche speranze”. L’album è pure così “vario” (prodotti più “imbalsamati” di questo sono capaci d’ottenere vaste platee) da poter venir considerato in qualche modo genuinamente “alternativo”, il merito va sicuramente a certi tratti caratteriali del tutto istintivi. Nel suo “non chiedere” Violent Redemption arriva a darti molto, perché i Chaos su questo disco non ti mettono mai davanti a dei capolavori incredibili, la loro è pura manodopera, nient’altro che duro e sudato lavoro, piccoli meccanismi incentrati ad ottenere il più sicuro e onorevole dei raccolti.
Da ricordare: il “twist” riffing di Torn, l’arguto refrain di Game, la furiosamente melodica (e più lunga con i suoi cinque minuti) Heaven’s Gate, l’effetto quadrato di Blacklash, la Annihilator addicted Merchant of Death e la velocissima title track, posta idoneamente alla conclusione con tutti i “buoni propositi” del caso, quelli di far fuori o segare le gambe rimaste stoicamente ancora in piedi.
Il loro thrash metal si muove a metà fra roba tedesca (Kreator e Tankard) e americana (Exodus e Testament, e qualche momento “classico” alla Metallica o ricco di groove alla Pantera) trovando un suo habitat naturale nelle varie peripezie prodotte.
Una cosa è poco ma sicura, Violent Redemption assume un ruolo d’assoluto rilievo (se non da leader) all’intero della propria scena nazionale. Se la vostra voglia di partire ed esplorare non avviene solo in termini “fisici”, un ascoltino in completo divermento questo debutto se lo merita tutto. Quando i difetti vengono sotterrati o meglio “sostituiti” dall’intraprendenza, i risultati avvengono sotto forma di codeste piccole, rare e grezze pepite.
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Summary
Autoproduzione (2013)
01. Ungodly Hour
02. Torn
03. Game
04. War Crime
05. Saint
06. Heaven’s Gate
07. Blacklash
08. Merchant of Death
09. Self Deliverance
10. Cyanide Salvation
11. Violent Redemption