Il vento statico di Burzum: ascoltare Umskiptar è una veglia
È tempo per il terzo atto di un “Conte ormai sempre più grigio”. Dopo il carcere, ecco il terzo disco in tre anni (tempo da recuperare, oppure soldi e strada da rifare? Questo è l’oscuro – ma nemmeno troppo velato – dilemma). Umskiptar completa questa sorta di trilogia del ritorno di Burzum, e lo fa ancora una volta con armi totalmente primordiali. Belus (il più diretto) e Fallen (la via di mezzo), sotto certi aspetti, erano più simili tra loro. Questo, invece, si pone in maniera diversa, pur lasciando ben impresso . ad arieggiare – il marchio Burzum. Così diversi, ma in fondo così uguali: è così che si possono affrontare questi tre dischi usciti finora.
Credo anche che Umskiptar sia il disco più indecifrabile della sua carriera, persino rispetto ai lavori puramente ambient. L’album tiene compagnia per più di un’ora, in un clima totalmente sedante ed epico. Diciamo che il rischio di addormentarsi maldestramente è reale (soprattutto verso la fine, quando i minuti cominciano ad accatastarsi pericolosamente).
Un’opera che sfida ogni giudizio immediato
C’è il rischio concreto di fraintendere il valore oscuro che dimora al suo interno. Valutarlo con precisione diventa praticamente impossibile, nonostante sopra ci sia scritto a caratteri cubitali Burzum. Chi non lo ha mai sopportato non cambierà certo idea adesso, in questa “non diversità”. Umskiptar è un blocco così particolare che ognuno ci vedrà dentro il proprio mondo, le proprie cose. E ci sarà chi lo bloccherà dopo appena due brani, con i neuroni già belli che fumanti, mentre altri – stoicamente – arriveranno alla fine esausti. Magari dopo averci capito poco o nulla. E poi ci saranno anche “gli eroi”, quelli che ne avranno sempre voglia.
Sono giunto alla conclusione che, questa volta, la cosa più facile sia non dare voti. Il disco mi ha lasciato inizialmente perplesso, salvo poi crescere piano piano ogni volta che rientrava in circolazione. Alla fine riesco ad ascoltarlo senza troppi problemi. Credo che per affrontarlo nella maniera giusta serva essere o completamente lucidi… oppure l’esatto opposto.
La sua formula è affascinante, nonostante tutto. Sicuramente un po’ troppo simile e ripetitiva alla lunga (quasi tutti i brani sono vocalmente recitati ed estremamente lenti), con l’elettricità che quasi non si avverte, come se si scaricasse volutamente altrove, in luoghi a noi non concessi. Con il rischio, così, di sorvolare sbadatamente su alcuni pezzi – come ad esempio Gullaldr – non perché siano meno efficaci, ma perché posti alla fine. E qui sorge un dubbio: l’ideale è prendere l’album nella sua interezza, come si dovrebbe sempre fare, oppure stavolta è il caso di fare un’eccezione e ascoltare le canzoni a piccole dosi, in momenti diversi?
Anche chi è dotato di tanta pazienza dovrà aspettare più del solito. Avere tempo è assolutamente necessario per far maturare l’ascolto nella giusta maniera. Solo una volta “cresciuto” potremo assaporarlo per ciò che è. Perché alla fine la musica di Burzum è sempre quella: i riff che possiamo tastare su Jóln, Alfadanz, Hit Helga Tré o Æra sono un marchio inconfondibile. Li scrive solo lui, ormai, in modo così classicamente personale e retrò.
Il limbo sonoro di Umskiptar: memoria e paganesimo
Il sapore delle sue chitarre porta direttamente al passato, e questo è sempre un toccasana per certe sensazioni tenute appositamente sigillate.
Su Umskiptar c’è tutta l’anima pagana di Varg, in dosi clamorosamente inaspettate e prolungate, così eccessive che solo il tempo potrà sancirne un giudizio veritiero e definitivo. Al momento attuale possiamo solo restare agganciati, schiavi di questo strano limbo dove solo l’ingresso è visibile o abitabile. Cercare di dare giudizi definitivi ora – o anche solo nei prossimi, imminenti anni – è quanto di più sbagliato potremmo fare.
La cerimonia è pronta per essere consumata (ma non compresa). Umskiptar è sicuramente uno dei “viaggi pagani” più strani e onirici che mi sia mai capitato di affrontare con il monicker Burzum. È come restare imbambolati a guardare un mare completamente piatto ed essere accarezzati (o risvegliati) di tanto in tanto dal suo tipico vento. Saranno avvantaggiate quelle personalità che prediligono, già in partenza, calma e staticità. Le sorprese, in fondo, si possono anche lasciare agli altri.
Summary
Byelobog Productions (2012)
Tracklist:
01. Blóðstokkinn
02. Jóln
03. Alfadanz
04. Hit helga Tré
05. Æra
06. Heiðr
07. Valgaldr
08. Galgviðr
09. Surtr Sunnan
10. Gullaldr
11. Níðhöggr