Delusione.
Fluttuanti sensazioni di sufficienza, nell’attesa — vana, finora — di quella scintilla che possa trasformare Deceiver of the Gods, nono capitolo degli Amon Amarth, in qualcosa di più di ciò che effettivamente è.
No, non mi sentirete lamentare il solito “sono sempre gli stessi e bla bla bla”. Di quello, sinceramente, m’importa poco. Se un disco contiene i brani giusti, ogni discorso sull’evoluzione può tranquillamente andare a farsi benedire. Con Deceiver of the Gods gli Amon Amarth non ingranano purtroppo.
E proprio come avevo esaltato Surtur Rising (che invece a molti aveva lasciato l’amaro in bocca), ora mi trovo a demolire in buona parte questo nuovo lavoro, che arriva stanco, privo di reale impatto. Il primo ascolto – e mai mi era successo con loro – mi ha persino annoiato. Con le successive sessioni c’è stato un lieve miglioramento, ma nulla che cambi davvero le carte in tavola.
È oggettivamente difficile dire: “no, evitate questo disco”. Gli Amon Amarth sanno come scrivere canzoni che funzionano, anche quando non sono al massimo della forma. Le loro formule sono collaudate, semplici e dirette, e proprio per questo continuano a coinvolgere un pubblico fedele.
Sì, sono sempre loro – anche se stavolta decisamente più melodici – ma comunque riconoscibili, coerenti con la loro identità.
Detto questo, non ho bisogno di scavare troppo nella memoria per identificare Deceiver of the Gods come il punto più basso della loro discografia sino a questo momento. E ci sta. Quando sei sulla cresta dell’onda da anni, prima o poi un passo falso può anche arrivare. Non è un dramma. Fa parte del gioco.
Il disco presenta comunque alcune tracce degne di nota:
- La title track è una classica opener travolgente, con riff azzeccati, melodia efficace e un refrain che dal vivo farà sicuramente il suo dovere.
- As Loke Falls, inizialmente sottotono, guadagna terreno con il tempo.
- Under Siege e We Shall Destroy si attestano su buoni livelli, la prima per l’epica atmosfera, la seconda per il suo essere “tipicamente Amon Amarth”, paradossalmente una delle cose che funziona meglio qui.
- Hel, con il suo duetto tra un Hegg mostruoso e l’inconfondibile voce di Messiah Marcolin, è forse uno dei momenti più riusciti: oscuro, solido, evocativo.
- Chiude bene il cerchio Warriors of the North, lunga e articolata, che risolleva la parte finale del disco con classe.
Le delusioni più cocenti?
- Father of the Wolf, il cui refrain mi è risultato davvero indigesto.
- Shape Shifter e Blood Eagle, troppo generiche e poco incisive.
- Coming of the Tide, che sembra un riciclo già digerito in passato e stavolta appena passabile.
Gli Amon Amarth ormai si trovano in quella zona di comfort dove, qualsiasi cosa pubblichino, i consensi saranno comunque garantiti. Ecco perché, in certi casi, scrivere una recensione pare quasi superfluo: basterebbe assegnare un voto e via. Ma il punto è proprio questo: bisogna pensare con la propria testa, non con quella del fan medio. Valutare Deceiver of the Gods per ciò che realmente è, nella propria sfera personale, senza dover per forza difendere o attaccare per partito preso.
Infine, una nota sul concept: un disco incentrato su Loki avrebbe meritato una dose ben più massiccia di oscurità e ambiguità. A conti fatti, la copertina riesce a evocare più del contenuto musicale stesso. Solo Hel e Under Siege colgono il tono giusto. Peccato.
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60%
Summary
Metal Blade Records (2014)
tracklist:
01. Deceiver Of The Gods
02. As Loke Falls
03. Father Of The Wolf
04. Shape Shifter
05. Under Siege
06. Blood Eagle
07. We Shall Destroy
08. Hel
09. Coming Of The Tide
10. Warriors Of The North