Il mio rapporto con gli Alestorm è stato a dir poco travagliato. Per anni li ho guardati da distante pensando di non poter reggere una simile goliardia, fermandomi nell’ascoltare i vari videos pubblicati e stop. “Simpatici” mi dicevo, ma poi non finivo mai nell’approfondire i loro dischi sino a quando una certa molla è riuscita finalmente a scattare (stavo di certo canticchiando inconsciamente qualche motivetto senza motivo, loro ne sarebbero fieri) e mi sono messo al recupero di una discografia che ho saputo “fare mia” solo con insistenza e non poche difficoltà (a dir poco bizzarro se si pensa alla semplicità del loro power-folk).
Gli Alestorm hanno trovato un cunicolo che passa in mezzo a Bal-Sagoth e Rhapsody e lo hanno indirizzato prepotentente sopra una scanzonata forma folk metal. Oggi hanno perso quelle caratteristiche così epiche poste alla partenza, preferendo l’eccesso smargiasso e la centrica volontà di voler offrire al proprio pubblico pezzi anthemici senza sosta. Inutile piangere, è quella la direzione intrapresa e molto probabilmente la cosa deflagrerà ancora di più in futuro perché i concerti funzionano e soprattutto “pagano”.
Il sapore di taverna non è però sparito, ma se prima riuscivamo a scorgerla laggiù in fondo illuminata nell’oscurità, bella vecchia e fatiscente, ora la vediamo connessa a qualche tipo di diavoleria tecnologica. Ma ormai gli Alestorm possono scrivere o dire praticamente ogni cosa senza apparire mai fuori luogo. La loro sesta opera intitolata Curse of the Crystal Coconut non fa altro che amplificare ciò che ognuno in cuor suo sapeva.
Siamo al cospetto del disco più debole della band di Christopher Bowes? Probabilmente si. A me sembra evidente, eppure non riesco a “schifare” o bocciare un disco capace di intrattenere e di offrire una certa varietà di fondo. La costruzione dell’insieme è certamente l’azione che salta di più all’occhio, ma anche le canzoni finiranno a completare l’opera per la quale sono state pensate e sparate fuori.
Sembra già una pietra della scandalo Tortuga eppure io la trovo in qualche modo indovinata (e dalle variazioni tutt’altro che banali), una piacevole mosca bianca posta all’interno di un disco che finirà anche per apparire classico ed operaio a sufficienza. Se Treasure Chest Party Quest è la cavalcata che annuncia futuri sfracelli (l’evoluzione del loro classico trademark che avanza, non ci piove che sia il ritornello maestro del nuovo disco) a Fannybaws toccherà l’onere di incendiare le giovani platee sempre bisognose di nuova linfa vitale e scalcinato divertimento (anche qui il refrain entra di forza, diventerà un tormento anche se non piacerà al 100%).
Ma i miei preferiti di Curse of the Crystal Coconut sono risultati essere due “opposti”, una è l’ilare e stupidotta Chomp Chomp (dove appare Mathias Lillmåns in una parte vocale), l’altra è Zombies Ate My Pirate Ship, dotata di un chorus specifico e molto indovinato (doppiato pure in femminile da Patty Gurdy, da pelle d’oca). Il disco snocciola però altre buone cose come nel caso dell’epica Call of the Waves, nel “reprise” tutto al personale chiamato per l’occasione Wooden Leg Part 2 (The Woodening) o per la divertente cover Pirate’s Scorn, legata all’immaginario del videogioco Donkey Kong.
Se Tortuga sta a Mexico, Pirate Metal Drinking Crew vuole essere il nuovo anthem “che non ci meritiamo” alla Fucked with an Anchor, giusto per riempire la speciale categoria dei “paragoni non richiesti”. E’ qui che l’animo più scanzonato degli Alestorm emerge e fa decorso, unitamente alla breve ma tutto sommato vincente Shit Boat (No Fans).
La linea di divisione tra chi comprerà i loro dischi e chi invece si dirigerà ai loro concerti è destinata di questo passo ad ampliarsi sempre più. Alcuni pezzi di Curse of the Crystal Coconut stanno affermando proprio questo, prima ce ne faremo una ragione e prima impareremo a conviverci al meglio.
Summary
Napalm Records (2020)
Tracklist:
01. Treasure Chest Party Quest
02. Fannybaws
03. Chomp Chomp
04. Tortuga
05. Zombies Ate My Pirate Ship
06. Call Of The Waves
07. Pirate’s Scorn (Donkey Kong Country cover)
08. Shit Boat (No Fans)
09. Pirate Metal Drinking Crew
10. Wooden Leg Part 2 (The Woodening)
11. Henry Martin