Oggi andiamo a spendere due parole su Ne Vivam, storico album di debutto per gli olandesi Officium Triste.
Il giorno del suo acquisto resta vivido dentro di me, in particolare il momento in cui allungavo la mano verso il compact disc (che uscì sotto Teutonic Existence Records prima di ottenere future ristampe), incastrato tra molti nella classica esposizione della bancarella dell’usato cittadina. Erano tempi davvero belli, e si trovavano parecchie chicche che non erano state comprese a dovere (o a cui non era stato dato il tempo di maturare), e forse troppo frettolosamente portate a vendere.
L’artwork nero – come tanti all’epoca – non lasciava spazio a dubbi. Agli Officium Triste non interessava l’esplorazione di candide e piacenti sfumature del mondo metal; loro si cibavano esclusivamente di death/gothic/doom albionico e Ne Vivam è, né più né meno, l’esaltazione, la ricezione agli ascolti dei primi capitoli discografici della sacra triade formata da Anathema, Paradise Lost e My Dying Bride.
Produzione d’altri tempi, con chitarre asciutte a delimitare un raggio d’azione lento, ciondolante e cupo. Anche il growl, ci lascia ferite e malinconie varie addosso, sottolineando un modo d’agire che per quanto “scimmiottato” ancora oggi a dovere, non riesce per davvero a distribuire quelle esatte e cupe sensazioni.
Ne Vivam inizia il suo percorso con Frozen Tears, lezione sul come si possa passare da chitarre melodiche alla Gregor Mackintosh a gesta toccanti in stile primissimi Anathema. Si prosegue poi con uno dei manifesti di questo percorso, sto parlando di Lonesome, traccia che rimane ancora oggi come mia prediletta dell’intero disco, avvolta nella sua completa “non speranza” riesce persino a conferire avulse forze insperate.
“No one there to ease my mind, to keep me up from falling down. An answer I will never find. In this lonesome life I will drown”.
Gli Officium Triste scandivano la loro marcia a fondo e dimostravano già la stoffa che li avrebbe fatti conoscere in giro con i dischi successivi. Questo album di debutto oltre alla qualità messa in scena riusciva ad essere granitico, autentico e sentito. Non si suona questa speciale ramificazione musicale per scherzo, e da questo lato loro non nascondevano di certo le carte.
D’altronde la tracklist non commetteva errori e sebbene una sorpresa covava (chi dice per primo l’ultima The Happy Forest? Sorta di ironica liberazione alla completa disperazione), canzoni come A Journey Through Lowlands Green (che ci prende mestamente per mano) e soprattutto “l’effige” One With the Sea erano gemme che affondavano le radici nelle migliori e torbide acque.
Emotività e movimento erano la miccia di una Dreams of Sorrow dotata di grande interpretazione prima dell’arrivo di nubi ancora più nere come Stardust (ma quanto sentimento!) e la ferrea danza di Psyche Nullification.
Sarebbe un peccato continuarlo ad ignorare se l’opportunità di ascoltarlo non è mai venuta (finché c’è battito c’è speranza). Questo è ciò che offriva il genere negli anni novanta. Roba grezza ma di enorme qualità, ispirazione e valore, capace ancora oggi di generare non poco e persuasivo fascino.
Summary
Teutonic Existence Records (1997, cd), Badger Records (2003, lp), Serpent’s Lair Records (2005, cd)
Tracklist:
01. Frozen Tears
02. Lonesome
03. A Journey Through Lowlands Green
04. One With The Sea
05. Dreams Of Sorrow
06. Stardust
07. Psyche Nullification
08. The Happy Forest