In un mondo che si appiattisce sempre di più, anche l’ascoltatore diventa un sonnambulo con le cuffie addosso. Immagina poi uscirsene con una formula di symphonic black metal nel 2024, in occasione del tuo secondo album, sotto certi aspetti significa proprio andarseli a cercare i guai. Ma i pochi sopravvissuti e gli ancor meno giovani che tentano oggi di infilarsi in questo tipo di ascolto non dovrebbero rimanere in fondo troppo delusi.
Da una parte il ricordo, l’impatto che agisce per “erosione”, clinicamente, dall’altra quello dell’istinto, del climax e dell’entusiasmo di percepire qualcosa di magnetico e palpitante. Penso che in entrambi i casi ci sia da essere positivi, poiché Devourer of All dei belgi Nyrak svolge il suo umile dovere sino in fondo, sforzandosi di non far apparire le manovre troppo sciatte, sterili o banali.
Siamo al cospetto di un lavoro che tiene sempre il motore acceso, fa leva sulla presa ritmica lasciando danzare all’unisono tastiere e chitarre, senza invero far mai predominare troppo le prime (diciamo che le chitarre guidano e le tastiere si adagiano seppur la loro presenza resti massiccia). I Nyrak vogliono creare i loro vortici con garbo, traspare senza dubbio la volontà di far bene, avvalorata da una produzione abbastanza cristallina, pronta a sottolineare (e forse precedere) il percorso che si dovrà affrontare.
I punti di contatto con Dimmu Borgir ed Agathodaimon sono abbastanza evidenti (menzionerei anche i loro connazionali Saille per chi se li ricorda). Se dai primi è quasi ovvio trarre linfa quando si intraprende un certo stile, ho apprezzato invece quella densità oscura che i secondi hanno saputo proporre seppur con corrente alternata. Ecco, i Nyrak con questo Devourer of All si piazzano dentro un “mezzo ideale” e da li sparano i loro colpi, colpi che arrivano a produrre l’effetto sperato (e se anche delle orecchie “stanche”come le mie sussultano qualcosa dovrà pur significare).
Sarà proprio quel mantenere il fuoco zampillante a determinare la bontà di quest’uscita che già dalla copertina potrà procurare il suo oscuro magnetismo di facciata. Il merito va ad appoggiarsi sul lavoro proficuo ed incessante delle chitarre, queste appaiono pungenti in ogni andamento, scalano con disinvoltura dal ficcante ad aperture diciamo “ariose”, senza concedersi mai alla spiccata o totale eleganza (che resta solo un accenno distante e mai dominante). Nonostante ciò si avverte una teatralità d’impatto che non intende però far virare il mood verso “atteggiamenti o travestimenti più sfarzosi”.
Quando arriva l’ultima in scaletta The Abstract Shape of Life mi posso dire soddisfatto, soddisfatto di aver avuto occasione di poter ascoltare e vivere Devourer of All. Certamente non attirerà il pubblico delle grandi occasioni, ma forse potrebbe rappresentare una prelibata opzione in grado di stupire i fruitori degli angoli bui e nascosti.
Summary
Phoenix Mortis Productions (2024)
Tracklist:
01. The Eyes of Time
02. Devourer of All
03. Candlelight
04. Lament
05. Oceans of Lies
06. Meaningless
07. The Abstract Shape of Life