Black metal viscerale e ispirato: Nebrus irrompono sulla scena
È già successo di ascoltare black metal interpretato vocalmente da qualche “gentil donzella”, e in certi casi, pur con risultati più che soddisfacenti, restava addosso una strana sensazione di straniamento. Come se qualcosa, per qualche motivo, risultasse fuori posto o addirittura forzato. Fortunatamente, esistono anche esempi positivi. E tra questi vanno senz’altro inclusi gli italiani Nebrus, che con From The Black Ashes compiono il loro primo passo discografico di peso, dopo quel piccolo gioiello per pochi intimi che fu Twilight of Humanity.
Non è mia intenzione cadere in un patriottismo forzato – sentimento che, tra l’altro, ho sempre trovato fastidioso – ma bisogna davvero fare un plauso a Noctuaria: la sua prova vocale è totalmente convincente, sorprendentemente varia e carica di espressività. Si avverte chiaramente la forza, la voglia di lasciare il segno, un’energia che molti colleghi maschi lasciano troppo spesso a casa. Potrà sembrare una sviolinata, ma basta ascoltare anche solo una traccia del disco per capirne il reale valore.
Solidità, intensità e atmosfera rituale
Dalle casse esplodono ondate di odio, rabbia, oscurità. Tutte espresse con una gamma vocale ampia e profondamente ritualistica. Per rendere l’idea, si potrebbe immaginare un ibrido tra i diversi vocalist che hanno attraversato l’epopea dei Mayhem. Ma la voce, pur essendo di rilievo, non è l’unico punto di forza: From The Black Ashes è un disco solido, compatto, e i Nebrus dimostrano una coerenza e un’intensità in grado di lasciare il segno.
Il black metal dei Nebrus è ermetico, quasi blindato, come una cassaforte sonora. Le chitarre disegnano paesaggi criptici e soffocanti, e il riffing si mantiene essenziale, evitando qualsiasi ridondanza. Ma proprio nella semplicità sa colpire con un’efficacia sorprendente, costruendo tensioni cantilenanti che si insinuano sottopelle. A tratti stupisce la capacità della band di uscire da vicoli ciechi compositivi usando pochi, semplici elementi: è in quei momenti che si intravedono futuri margini di crescita, anche se, diciamolo, va già benissimo così. Pensare al futuro è, a volte, una distrazione inutile.
I brani dell’album e l’odio viscerale che riescono a produrre.
Apocalypse, primo brano, si trasforma presto in un tormentone, merito anche della ripetizione ipnotica del titolo. Chaosong è una spirale di confusione e martellamento ritmico, chiusa da un’inaspettata ma ordinata conclusione. È proprio lì che si comincia a intuire l’ampiezza vocale messa in campo, un vero arsenale di timbri animaleschi, chiaramente studiato e ricercato.
Chains è, in una parola, agonizzante, mentre Damned si è imposta subito tra le mie preferite, grazie a un ritornello rituale e magnetico. Falling mostra una sfumatura più ritmica e vivace, lasciando maggiore spazio alla voce. Chiude il disco End, una traccia sgusciante e ambivalente – lenta e veloce al tempo stesso – che sintetizza con efficacia tutto ciò che è stato ascoltato prima.
A fare da extra troviamo Banquet of Oblivion, bonus track di dieci minuti, un’aggiunta slegata dal resto del disco ma comunque apprezzabile, una sorta di epilogo aggiunto che accompagna via un ascoltatore già pienamente soddisfatto.
From The Black Ashes: un’opera che unisce energia e passione
From The Black Ashes, in appena sei tracce principali, dispone il verbo del black metal nella sua forma più viscerale e sincera. Dimostra che è ancora possibile creare qualcosa di autenticamente agghiacciante senza scadere nel cliché o seguire le mode.
Si percepisce chiaramente che chi ha scritto e suonato questo album lo ha fatto con passione totale, con la voglia vera di creare. E per me, questo è già sufficiente per consigliarlo senza esitazione. Aggiungete poi un artwork riuscitissimo e d’impatto e il quadro è completo.
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70%
Summary
Schattenkult Produktionen (2012)
Tracklist:
01. Apocalypse
02. Chaosong
03. Chains
04. Damned
05. Falling
06. End
07. Banquet of oblivion (bonus track)