Milano, Teatro degli Arcimboldi – 19/10/2012
Come faccio a dimenticare una cosa del genere? Ci sono realmente stato?
Questo non è stato un concerto, questa è stata la perfetta rappresentazione dell’impalpabile. Ci raccontano e ci cantano che i sogni nascono carne, ma poi arrivano materialmente loro due e creano un qualcosa di indefinibile, un qualcosa che nasce chissà dove per nutrire lo spirito con la cura e la premura di una madre apprensiva, parla con lui in una maniera che solo lui sa e lo rende così vivo da spaventare ed azzerare ogni altra cosa. Puro innalzamento estatico, potrei pure chiamarla “energia sensoriale” di forze ancora non conosciute.
Il concerto dei Dead Can Dance è la rappresentazione della discesa degli Dei, chi meglio di Lisa Gerrard e Brendan Perry oggi può definirsi tale? Chi può ambire a suscitare quello che suscitano loro con la loro musica? Il nuovo Anastasis ha convinto tutti (o quasi dai), chi di più chi di meno, io mi metto fra quelli del “più” e pensavo anche di averlo capito bene Anastasis, invece non avevo capito quasi nulla, il nuovo disco, il suo lento incedere, è una dimostrazione di pura e sincera superiorità, una superiorità che emerge completamente dal vivo, grazie ad una resa dei brani imponente, fluttuante e suadente. I nuovi pezzi acquistano vigore e sono esibiti con una sicurezza tale da far dimenticare l’assenza di alcuni grandi classici.
E’ bello vedere come il duo creda nelle nuove creazioni e nel disco in ogni sua parte, avere il coraggio di proporlo tutto a discapito di altri più famosi lasciati a casa è compito esclusivo di chi sa cosa vuole dalla musica e sa come darlo.
Lisa Gerrard: semplicemente unica, una creatura che sa perfettamente di essere “oltre”, che sa perfettamente di essere una divinità ma allo stesso tempo è consapevole che il suo involucro è pari a quello di qualsiasi altro. Il suo volto dice tutto questo e vorrei soltanto poterlo rivedere ogni volta che sarà possibile farlo.
Brendan Perry: la sua controparte terrena, perfetto intrattenitore, una voce che rapisce e culla, praticamente la stessa che possiamo sentire su disco. Apparentemente freddo ma sempre concentrato nell’applicare intrecci personali/interessanti su ogni canzone.
Pubblico: Perfetto, applausi come piacciono a me (così tanti da scorticarsi le mani) ma soprattutto quelli da “effetto onda”, ovvero quando sembrano finire inesorabilmente e invece si rigenerano su se stessi. Come si suol dire la perfetta ciliegina per la rappresentazione. Grazie a tutti davvero, mi avete emozionato.
Scaletta: Per chi voleva saperla non era un mistero, la stessa per tutto il tour (sin dalle primissime date americane) con la presenza intera di tutto Anastasis spezzato da alcune sorprese e le solite certezze. Children Of The Sun apre statuaria e zittisce una platea completamente soggiogata. Anabasis ci presenta una Lisa Gerrard in forma “olimpionica”, da grandi occasioni, il sound è perfetto, l’acustica potente e le voci dei due rimbombano chiaramente per ogni metro quadro di teatro sedando un pubblico già completamente rapito. Ma le pause impongono applausi e noi applaudiamo a più non posso, possiamo applaudire ad oltranza se volete, possiamo applaudire e non farvi più iniziare la prossima canzone, è tantissimo e giustificato l’affetto dimostrato a questi due monumenti della nostra musica. La magia di Rakim è tutta li, l’inizio strumentale ad opera di Lisa, poi diventa duetto con Brendan ed impossibile mantenere l’emozione quando lei si sposta al microfono per il finale di canzone. Kiko è la canzone del nuovo disco uscita meglio in sede live per chi scrive, come cambiano le cose grazie ad un concerto. Fa un po discutere poi la scelta di presentare due cover “antiche”, atte a far respirare l’ugola di Lisa Gerrard (anche se per una Severance avrei volentieri rinunciato ad una canzone in meno in scaletta) come Lamma Bada e me Prezakias, mentre le due firmate This Mortal Coil generano lacrime istantanee (Song To The Siren di Tim Buckley e appunto Dreams Made Flesh). Intanto devo ancora capire se una Agape “velocizzata” sia cosa vincente o meno (la canzone non la discuto, la migliore dell’ultimo versione studio secondo il mio orecchio) mentre ho poco digerito la sovrapposizione vocale su The Host Of Seraphim (un Brendan che “tira la volata” per il finale completamente ancestrale) e su Return Of The She-King (da parte questa volta della tastierista), diamine..lasciatela cantare da sola, non le servono appoggi di nessun tipo. I momenti migliori del concerto si registrano poi sulle note di Sanvean (applausi infiniti per lei), su una Nierika potentissima ed onirica, sul finale di The Host Of Seraphim (quando la musica smette di essere musica e diventa anima) sulla ovviamente acclamata Now We Are Free, e sul primo bis formato da The Ubiquitous Mr. Lovegrove (grazie di cuore Brendan) e Dreams Made Flesh (per la serie “basta uno strumento ed una voce per toccare l’infinito”).
Non si possono non citare infine i momenti “personali” di Perry come Amnesia (acclamata non poco anch’essa), Opium (flusso, flusso, flusso) e una All In Good Time che dal vivo riesce a creare atmosfera e feeling impareggiabili.
Capitolo a parte si merita l’ultimo bis, con Rising Of The Moon Lisa parla con noi, pone cura ad ogni malattia dell’animo, canta per noi con un trasporto che non appartiene usualmente a questa terra. C’era un qualcosa che univa tutti durante gli ultimi secondi della canzone, un filo emotivo sottile che rimarrà scolpito nei ricordi di una performance che “vale una vita intera”.
Questo concerto rimarrà impresso in maniera indelebile dentro di me, ora come ora il pensiero di continuare a vivere è alimentato dalla speranza che ci possa essere un bis fra non molto tempo (utopia? si scoprirà di no). Capitano a volte concerti che ti danno così tanto da svuotarti, questo è andato oltre, i Dead Can Dance sono arrivati a sfiorare corde “sensitive” ed umanamente incomprensibili, il tempo ha cessato di esistere e si assisteva impotenti allo scorrere di note totalmente persuasive sospese chissà dove (in più di una occasione mi è sembrano di non essere nemmeno presente). Realizzare la sua fine è paragonabile alla conclusione di una storia o di un capitolo importante della propria vita. Sarò esagerato? Forse si, e di sicuro non tutti avranno ricevuto così tanto (o magari qualcuno di più) ma poco importa perché tanto “lei ci ama tutti”. Quanta classe, immane perfezione.
1 commento
Aggiungi il tuo →Io c’ero e hai raccontato questa straordinaria serata come meglio non avresti potuto. Qualcosa che è partito da questa terra ed è arrivato a toccare il cielo. Grazie per il tuo prezioso ricordo.