Cryhavoc – Sweetbriers

Qualcuno di voi si ricorderà della copertina di Sweetbriers, l’esordio discografico dei finlandesi Cryhavoc venne preso in considerazione dalla Nuclear Blast (su concessione Spinefarm Records) che sul finire degli anni ’90 cercava di trovare “new-sensations” alternative (oggi non accadrebbe così facilmente) ai soliti nomi di spicco. In questo caso si cercava una tipologia di gruppo che non si aveva in casa: “i Sentenced hanno messo radici su Century Media? bene noi rispondiamo con i Cryhavoc!“, è questo quello che devono essersi detti durante il lancio di questa -ai tempi- nuova formazione, in fondo qualche soldo facile preso dal lavoro di altri che male può fare?

Il percorso della band sarebbe finito da lì a poco, dopo l’incisione di un secondo album; a volte il tuo destino può diventare davvero strano, e chissà cosa sarebbe successo se fossero sbucati fuori oggi (o magari poco prima di oggi), dove la fame di Sentenced è ormai una malattia riconosciuta, forse avrebbero anche potuto spopolare, prendersi quell’attenzione che ai tempi non è riuscita ad acquisire credito, e a valorizzarsi di conseguenza.

Però c’è anche da dire che la promozione aveva fatto degnamente il suo dovere, chi seguiva le riviste specializzate ci era finito sicuramente sopra alla “famosa/formosa” copertina, forse si può parlare di Sweetbriers come uno dei dischi meglio inquadrati/valutati già all’epoca, perché nemmeno il tempo è riuscito a fornirgli quel tocco speciale che molte volte riesce ad accrescere magicamente un prodotto datato.

Ma anche senza l’ausilio del tempo Sweetbriers mantiene il suo valore sufficiente, la sua abbondante mezz’ora tiene compagnia più che dignitosamente, non arriva a farti esclamare di stupore ma nemmeno ti conduce a pensare di aver ingurgitato del sonnifero. Si sente la produzione dei vecchi Tico-Tico Studio, i Cryhavoc ci mettevano del loro nel cercare di risultare il più ruvidi possibile, della serie: “vi diamo le melodie che cercate ma ve le facciamo anche sudare“. La voce di Kaapro Ikonen faceva logicamente il verso a quella di Laihala in tutto per tutto, ma di pari passo con la musica anche questa acquisiva contorni più ingombranti, quasi sconnessi a tratti nel cercare quel minimo di evasione necessaria.

Sweetbriers è nel suo piccolo un silenzioso incrocio, il passaggio fra Amok e Down, al suo interno potremo trovare preziosità “slabbrate” come Repent (Whore) con quelle note trascinanti e il refrain sugli scudi o dalla doppia anima rozza/armoniosa come su Wolfdance e I Fade Away. Le chitarre cercano di staccarsi dalle ritmiche il più possibile per andare ad arpionare quelle melodie seducenti e agrodolci tipiche – e rese note- della loro particolare musa. Armageddon Y’Know magari vi farà pure versare qualche lacrima per ciò che non c’è più (e a volte non c’è niente di meglio che questo).

Nei ritornelli erano molto forti, difficilmente arrivavano a sbagliarlo, peccavano lievemente nel resto ma nemmeno così tanto, giusto a tratti, quei tratti che impedivano loro il salto di qualità necessario per essere ricordati meglio di quanto sia effettivamente avvenuto. Se cercate un bel dischetto privo di fronzoli, scorbutico, ignorante e malinconico allo stesso tempo un ascoltino a Sweetbriers datecelo, provare simpatia in fondo non costa niente.

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Riassunto

Spinefarm Records (1998), Nuclear Blast (1998)

Tracklist:

1. Bloodties
2. Repent (Whore)
3. Come With Me
4. Wolfdance
5. Pagan Uprise
6. I Fade Away
7. Armageddon Y’Know
8. Misanthrophy