Charnia – Dageraad: “Fai le cose semplici e non sbaglierai”
Potrebbe essere questo il manifesto ideale per Dageraad, l’album d’esordio dei belgi Charnia. I Nostri, infatti, non sembrano minimamente intenzionati a reinventare qualcosa di nuovo, ma presentano le loro idee in modo così classico e misurato che risulta difficile non restarne avvolti.
La produzione non mira a esaltare l’impatto o la pesantezza, non è di certo questo l’intento principale di Dageraad. Qui si ricerca piuttosto la dilatazione, una spiccata sensibilità sensoriale dell’insieme. Tutto appare ben diluito, emozionale. Sarà il grigio a dominare, ma è un grigio che tenta spesso di cambiare tonalità. L’oppressione totale non è mai veramente contemplata; si esplorano costantemente spazi e profondità attraverso impalpabili chiaroscuri.
Non è sempre facile affrontare un disco che affonda le proprie radici in generi come post-metal, sludge e ambient. Anzi, spesso più l’ascolto è complesso e più ne siamo affascinati. Ma non è questo il caso del debutto dei Charnia. Loro ti stendono un tappeto comodo davanti, ti invitano a calpestarlo dolcemente, senza fare rumore. Perché il caos non è una loro prerogativa, certo, avremo dei momenti “rumorosi”, ma mai davvero travolgenti.
Atmosfere dilatate, mai oppressive
Si rilevano aperture vocali (non è un album completamente strumentale, anche se potrebbe diventarlo con pochi accorgimenti), urla liberatorie che generano un minimo di scompiglio nella trama. Ci sono momenti intensi come frustate, ma che non lasciano cicatrici: li avverti, ma non ti scompongono (caratteristica che si potrebbe anche leggere come un limite). Sono traiettorie che cercano coerenza, come se il disco non volesse sgualcire il suo vestito nuovo di zecca.
I Charnia con Dageraad vi porteranno a perdere. Magari questo disco vi annoierà anche un po’, ma le intenzioni restano comunque sincere. Il non afferrare o il dissolversi di certi momenti potrebbe essere proprio ciò che alcuni di noi cercano. Un’evasione discreta, attraverso una musica poco invadente, ma capace di affiorare a tratti per suggerire qualcosa, o evocare un’emozione sfuggente.
È un disco che si crea ostacoli invisibili, proprio come facciamo noi ogni giorno. Forse anche per questo lo si percepisce così vicino, come un compagno silenzioso e fedele nei suoi quaranta minuti di durata.
Fluttuante e asciutta Waeslandwolf, prima traccia, segue la staticità strumentale di Daknam: riff scanditi, sludge incorporeo, attraversato da uno scream acido che dominerà nella successiva Het Dodenhuis, la più profonda e spiazzante del lotto. Una fetta importante se la prende infine la title track, con i suoi sedici minuti complessivi. Quiete vibrante, trascinata a lungo, un lento osservare il mondo addormentato attorno, la tipica traccia che ti fa ripercorrere la strada a ritroso, perfetta, quindi, come chiusura.
Dageraad è il classico album difficile da valutare con un voto. Quando l’ascolto diventa troppo soggettivo, preferisco astenermi. Ognuno sarà toccato a suo modo, secondo i propri criteri. Ciò che conta, forse, è parlarne: far sapere che esiste. Poi starà a voi decidere se farne un ascolto abituale o un’occasione per staccare la spina.
Riassunto
Consouling Sounds (2014)
Tracklist:
01.Daknam
02.Waeslandwolf
03.Het Dodenhuis
04.Zielsondergang
05.Dageraad