Atritas – Celestial Decay

Non ho ancora avuto modo di ascoltare i primi due lavori a nome Atritas e un po’ me ne rammarico vista la qualità del terzo e ora in esame Celestial Decay (canto del cigno della band).

Questa formazione proveniente dalla Svizzera mi ha fornito diversi input positivi, sparsi e diroccati lungo tutta la durata del full-lenght. Si nota subito l’omogeneità della tracklist, la sua cinquantina di minuti è ben distribuita lungo le tracce, che arrivano a morire tutte poco dopo i cinque minuti. A grandi linee questo può già far intendere una certa linearità di fondo in fase di stesura, con una struttura del brano ben precisa e sviluppata, ma forse, di contro poco fantasiosa. Per fortuna gli Atritas non si chiudono in una formula sonora senza sbocchi e grazie a soluzioni semplici riescono a piazzare sul mercato un dischetto davvero discreto.

In questo caso bisogna citare l’ingombrante nome dei Dimmu Borgir come principale punto di riferimento, ma per fortuna gli Atritas non si adagiano su facili melodie, ruffianerie o “bighellonerie” di turno. Si percepisce un sentore malvagio e primordiale di fondo atto alla completa soddisfazione personale, questa variante molto probabilmente relegherà la formazione a pochi oscuri adepti i quali allineeranno gli Atritas ad altre entità certamente poco fortunate ma speciali, come possono essere ad esempio: Misteltein, Mork Gryning o Thyrane.

Quando a questo (che almeno per me vuol dire già tanto) si aggiungono istanti alla primi Agathodaimon, ma soprattutto alcune parti tipicamente Abigor nei momenti più diabolici, il sottoscritto non può far altro che esultare al cielo come un cretino.

Le vocals di Gier contribuiscono a questo revival sonoro passando dal tipico stridulo alto ed aspro in voga negli anni novanta a parti decisamente più basse, in tutte e due le “versioni” dimostra una discreta versatilità.
Le tastiere sono -ovviamente- ben presenti (da come si è potuto intendere da quanto scritto finora), ma c’è da specificare che la musica degli Atritas potrebbe anche vivere benissimo senza (ulteriore punto a loro favore), tutto ciò denota l’efficienza di ogni brano e anche la bellezza di una parte sinfonica pensata più come sfondo che come protagonista, mai invadente nella sua semplicità.

I momenti migliori li ho riscontrati su All Celestial – Ruins e Ashes, dove convivono alla grande riffs alla Abigor con i Dimmu Borgir del periodo Puritanical Euphoric Misanthropia, nella “francese” Peste Sacrale (Sang Pour la Vie Eternelle), autentica perla oscura del lotto e nella più controllata His Presence dove le tastiere si mostrano più decise del solito.

Come già accennato, non ci sono effettivi cali o particolari tonfi, e ogni qual volta i nostri spingono decisi, arrivano a creare davvero cose buone e sane, merito certamente di un riffing quadrato, a suo modo sempre preciso, e della capacità declamatoria del singer. Celestial Decay merita – almeno per me – attenzione, preso senza troppe aspettative saprà colpire a suo modo il centro del bersaglio. Un album per tutti quelli che vogliono rimanere avvinghiati al modus operandi tipico degli anni ’90. Se la vostra bocca si è disabituata a certi sapori Celestial Decay penserà a rimettere certe cose al proprio posto.

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Summary

CCP Records (2009)

01. Ultimate Downfall
02. (Sacrifical) Devil Worships Psalmody
03. Gnosis – A Religious Wasteland
04. Memorium Magicus
05. All Celestial – Ruins & Ashes
06. Blasphemic Madness
07. Peste Sacrale – Sang Pour La Vie Eternelle
08. His Presence – Satanic Divinity
09. Shizophrenia In Death
10. Divine Apocalyptic Gloom – Endtime’s Dawn