I vichinghi Amon Amarth scendono in Italia per supportare l’ultima fatica Surtur Rising, ad accompagnarli troviamo As I Lay Dying e Septic Flesh. Ecco il resoconto della data al New Age di Roncade.
Una partenza all’ultimo istante (in stato di mezzo malaticcio) mi ha fatto perdere metà concerto dei miei amati Septic Flesh, il New Age di Roncade era già discretamente pieno e la formazione Greca aveva sotto palco una schiera di sostenitori fortunatamente inusuale per essere un “semplice” gruppo supporto (nel mio cuore loro erano headliner indiscussi). Il sound della band è stato anche il migliore che ho potuto recepire in tutta la serata, pieno e magnetico con uno Spiros Antoniou intento a dirigere il pubblico “a bacchetta”, assolutamente perfetto anche con le movenze in sintonia alle parti orchestrali (raramente ho sentito live una tale perfezione tra parti campionate e devastazione elettrica). La scaletta (ho dovuto anche indagare mannaggia) offriva brani dagli ultimi due studio album Communion e The Great Mass, se da un lato la cosa un po dispiace dall’altra si bilancia un pochino vedendo la forza, la passione che la band riversa su brani splendidi ed efficaci tanto dal vivo quanto in studio. La disperazione di essermi perso l’entrata della formazione sulle note di The Vampire From Nazareth è ripagata dall’ascolto di brani come Pyramid God, A Great Mass of Death, Anubis (queste ultime due da pelle d’oca), Persepolis e la conclusiva Five-Pointed Star.
Salutati tristemente i Septic Flesh (ne volevo ancora e ancora) assisto con curiosità alla performance degli Americani As I Lay Dying, band che si è ritagliata un discreto numero di supporters sin da lontano esordio Beneath the Encasing of Ashes datato 2001. Non conoscevo nemmeno una loro canzone e devo dire che quello che ho sentito non mi ha spinto alla classica “voglia d’esplorazione” che avviene quando un gruppo a te sconosciuto ti intriga in qualche modo in concerto. Il pubblico ha partecipato moltissimo e sembrava conoscere discretamente bene i pezzi che mi hanno fatto comunque sbatacchiare sbadatamente la testa. Sono riuscito a dare un occhio alla scaletta e alcuni brani che mi ricordo di aver letto sono la conclusiva 94 Hours, Nothing Left, The Sound of Truth, Confined e An Ocean Between Us. Bisogna dire che gli Americani hanno avuto a disposizione un discreto minutaggio e hanno preparato la platea al meglio per l’ingresso degi attesissimi headliner.
Il successo che da tempo bacia gli Amon Amarth è evidente, lo si nota dappertutto e lo si nota ancora una volta al New Age con una rapida e furtiva occhiata, il pubblico ha un età media molto giovane (c’era da aspettarselo) ed è pronto ad intonare gli inni nordici più deflagranti del globo. Da una seconda fila e mezzo non ho avuto la sensazione di suoni ben bilanciati (stentavo a capire i loro classici intarsi melodici e la voce di Hegg sembrava pronta a decollare ma in realtà non lo faceva mai), come al solito le cose erano migliori se si prendeva un po di distanza dal palco. Devo ammettere di come sono arrivato un po tardi alla loro visione dal vivo, li seguo sin dal primo album e speravo in più gemme da Once Sent From The Golden Hall (o quantomeno dal secondo The Avenger), ma ho realizzato quanto prima di come fosse pura utopia anche il solo pensarlo. Per fortuna un timido fuocherello dei tempi che furono rimane grazie alla deflagrante Ride For Vengeance (impossibile non versare una lacrimuccia sulle sue note) “va beh” mi dico, me la faccio bastare, il resto (tolta la sempre vincente Death In Fire) è focalizzato (giustamente visti i risultati) sugli ultimi lavori. Raramente ho visto in giro formazioni così compatte e coese, gli Amon Amarth suonano a cuore aperto forti della loro ormai “secolare” line-up. Non ho mai visto tre componenti al di fuori del cantante cantare quasi per intero ogni canzone (a me poi gasa particolarmente questa cosa) come in questa occasione, un tutt’uno di anima e passione ed è solo in quel momento che comprendi che loro saranno sempre così aldilà di tutto. Insomma, grandi tutti a partire dalla storica coppia d’asce Mikkonen/Soderberg per arrivare alla sezione ritmica formata da Andersson/Lundstrom. War of the Gods apre al totale tripudio che mantiene la sua carica prima di una naturale flessione verso metà concerto. Runes To My Memory incanta mentre Destroyer Of The Universe infligge colpi letali con il suo incendere terremotante. A fine Live Without Regrets Hegg estrae l’ormai classico corno e beve alla nostra salute, gesto che fa il suo discreto effetto se esposto in maniera seria e decisa come questa, Hegg osserva la platea e guarda le persone una ad una con l’augurio di ritrovarsi insieme anche dopo il naturale trapasso (l’assenza di fare “patetico” me l’ha fatta adorare particolarmente).The Pursuit of Vikings eleva la platea sull’imponente coro mentre l’ultimo Surtur Rising rivive grazie a canzoni come For Victory or Death, Slaves Of Fear (enorme anche dal vivo) e sorprendentemente A Beast Am I (old times rules!). Non poteva mancare Asator mentre la parte finale vede snocciolare le perle contenute su Twilight of the Thunder God. Parte la poesia di Embrace of the Endless Ocean per calmare ed emozionare un po gli animi, Free Will Sacrifice gli riaccende e il bis formato da title track (che canzone mostruosamente perfetta) e Guardians Of Asgaard distrugge forze e annienta gli animi (è stato bello vedere una ragazza con le lacrime agli occhi di commozione da un lato del palco).
Bel concerto, l’unica pecca da parte mia è stato lo scegliere i Septic Flesh come band d’apertura (e magari mettere un gruppo più idoneo e che legasse meglio con gli altri piuttosto che gli As I Lay Dying), per il resto non rimane altro da dire se non: “grandi professionisti all’opera”.