Windbruch – No Stars, Only Full Dark

C’è ancora spazio per sensorialità e introspezione? Voglio credere di sì. Con i Windbruch ne abbiamo un assaggio.

L’arte di scoprire senza mai fallire. Non smetterò mai di ripeterlo quando c’è di mezzo la Hypnotic Dirge Records. Uscite sempre di qualità, oppure come nel caso di questi Windbruch, riscoperte, e valorizzazioni di autoproduzioni passate, che meritavano una seconda possibilità.

È proprio il caso di No Stars, Only Full Dark, secondo disco della one-man band russa Windbruch. Un lavoro che rischiava di passare inosservato, inghiottito nel marasma delle continue pubblicazioni, nel tempo che sfugge sempre di più. Ma grazie alla lungimiranza di HDR, questo disco ha trovato nuova vita e, forse, anche un pubblico più attento. L’etichetta si è costruita nel tempo un seguito fedele – forse non proporzionato al valore reale di quanto ha fatto, ma comunque solido – e oggi è un riferimento sicuro per chi cerca qualità, coerenza e passione.

No Stars, Only Full Dark non è un capolavoro epocale né un’esperienza trascendentale, ma ha il grande pregio di riuscire, nel suo piccolo, a distinguersi. Con un suono oscuro e ovattato, costruisce un mondo intimo e personale che vale la pena esplorare. Malinconia, un pizzico di marzialità cupa, un gelo avvolgente e un senso di pesantezza si fondono in un unico impasto sonoro. Il timbro “russo” è evidente. E’ ben presente quel “fuoco dell’Est” che scalda e gela allo stesso tempo. Le tastiere, poi, regalano aperture ariose, come dei tipici squarci improvvisi nel cielo coperto.

Si percepisce chiaramente che dietro il progetto c’è una sola persona, e questo rende tutto più intimo, più fragile, ma anche più autentico. Il disco, come la civetta che campeggia in copertina, plana silenziosamente sopra di noi, senza clamore ma con un peso emotivo che si fa sentire.

Il suo effetto è lento, progressivo. No Stars, Only Full Dark non è un disco black metal d’impatto né di quelli strazianti o apertamente depressivi. È malinconico, sì, ma si muove in equilibrio tra vari territori, senza schierarsi del tutto da una parte o dall’altra. L’elemento melodico è quello più solido e riconoscibile. Linee ampie, capaci di evocare emozioni sincere e offrire rifugi sonori nei quali perdersi. La coda di No More Entry, No More Exit è l’esempio perfetto: una chiusura che consola, che abbraccia. E se, all’inizio di No Stars, vi scappa una lacrima (il Burzum di Filosofem impartisce non poche lezioni), non vergognatevi, in fondo, cosa c’è di più triste e poetico di un cielo senza stelle?

Il disco, pur colmando certi vuoti interiori, lascia poche tracce dietro di sé, come una figura spettrale che danza sulla neve fresca. Si alternano momenti astratti ad altri più fisici – come l’incedere doom di A City on Fire – in un continuo gioco di pieni e vuoti. Niente di clamoroso, ma l’effetto complessivo è straniante, quasi ipnotico. Il consiglio è di ascoltarlo tutto d’un fiato, come se fosse un’unica lunga composizione: solo così si possono cogliere i piccoli, delicati movimenti che lo compongono.

Molto belle anche le due tracce finali di lunga durata, Only Full Dark e Neswa-Pawuk. Omaggi notturni e intermittenti, quieti e sussurrati, che sembrano fatti apposta per accompagnarci in uno stato di sospensione. Viene in mente quel tipo di serie tv che ci tiene incollati in attesa del colpo di scena, ma che poi ci fa capire che il senso vero era nascosto nei dettagli, nei silenzi, nella pura narrazione. Così è anche per questo disco: se si guarda solo alla superficie, si rischia di perderne il cuore. Ma se si ha la pazienza di guardare all’insieme, ci si accorge che la ricompensa è reale, profonda.

La domanda resta: c’è ancora spazio per sensorialità e introspezione? Voglio credere di sì. E i Windbruch con No Stars, Only Full Dark pur con tutti i suoi limiti, ci aiutano a non dimenticarlo.

  • 70%
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Summary

Hypnotic Dirge Records (2014)

TRacklist:

01. The Dance of Liquid Fire
02. No More Entry, No More Exit
03. No Stars
04. A City on Fire
05. Only Full Dark
06. Neswa-Pawuk
07. Flashback to My Lake

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