Grave Digger – The Living Dead

Le cose nella dimora Grave Digger stavano precipitando oltre un certo limite dopo un Healed by Metal deludentissimo, i nostri sembravano procedere sparati verso un triste viale del tramonto e devo dire che l’impatto con i pezzi del nuovo The Living Dead non pareva migliorare di molto la situazione.

Sulla carta o nell’immaginario The Living Dead riporta i Grave Digger dentro scenari horror e dal taglio oscuro. Copertina (una delle migliori) e parte del concept dietro alcune liriche facevano presagire ad un ritorno prepotente e convinto al sound del mitico The Grave Digger, disco omonimo uscito nel 2001. Invece, non so come, mi sono ritrovato a pensare a più riprese a un Knights of the Cross, così, a cavallo di forti folate sensoriali. Ovviamente le differenze sono molte, ormai il sound della band di Boltendahl e compagni (questo giro ci riserva l’ultima prestazione del mitico drummer Stefan Arnold, alla corte Grave Digger dal 1996) va avanti ad un livello nettamente inferiore rispetto ai momenti più gloriosi, ma ciò non impedisce -a chi sa farlo ovviamente- di continuare sulle ali di una leggiadra esaltazione, esaltazione che quatta quatta -e a dir poco inaspettata- giunge su The Living Dead. L’album non nasconde i suoi problemi, non nasconde neppure una certa “stagnazione” e quella “vena elementare” che pare aver attaccato i nostri da diverso tempo a questa parte. I pezzi inizialmente sembrano pure sbagliati, danno l’impressione di non incidere a dovere sia sul ritornello (eresia per loro) che su quei “ponti” ora pestati ora declamati in stile tipicamente Grave Digger. Ma poi un certo grado insano unito al bene che ci vuoi comincia a lavorare di sbieco, e per vie traverse inizi a prendere familiarità con pezzi di certo non epocali, pezzi che alla fine riescono nel loro semplicistico intento. E così quello che non era riuscito loro su Healed by Metal riesce adesso, l’album “viene portato in salvo” aldilà dei diversi pericoli sparsi lungo il suo percorso (in quanti si sono indignati sulle note di Zombie Dance, pezzo scanzonato che vede la collaborazione con i compagni d’etichetta Russkaja, strofa e bridge tutto sommato fanno presa, con il refrain invece bisogna sapersi adattare). Poche volte parlo dei brani usati come bonus track ma in questo caso mi tocca fare eccezione vista la bontà di una Glory or Grave che andava assolutamente inserita nella tracklist “ufficiosa” (ritornello assolutamente da pelle d’oca!). Di certo non ci voleva molto a sostituirla con The Power of Metal o con una Fist in Your Face, unici pezzi a far traballare pericolosamente questa baracca.

Il resto lavora bene i fianchi con l’opener Fear of the Living Dead (quasi “anormale” nel suo spirito classico) e con le hit dal forte gusto epico Blade of the Immortal e Shadow of the Warrior (qualche eco alla Gamma Ray?). A When Death Passes By e Insane Pain il compito di spingere a modo, in particolar modo la seconda migliora le sue quotazioni di volta in volta perforando a dovere il cervello con la sua speciale “ossessività” (anche qui il marchio di fabbrica che emerge pimpante).

Bastava poco per fare di meglio ma lo stesso possiamo dirlo al contrario che forse sarebbe più preoccupante. Quindi no, i Grave Digger non se la scavano ancora la fossa e ci dimostrano di voler restare aggrappati al loro mondo e alla loro visuale del mondo metal. L’ispirazione non è totale, ma The Living Dead alla fine intrattiene per il giusto. Lecito aspettarsi di meglio da una band di “vecchietti” come loro dopo una discografia alla spalle come la loro ? Domandone rinviato alla prossima fermata, per ora facciamolo girare questo The Living Dead e godiamocelo per quanto e come possibile.

60%

Summary

Napalm Records (2018)

Tracklist:

01. Fear Of The Living Dead
02. Blade Of The Immortal
03. When Death Passes By
04. Shadow Of The Warrior
05. The Power Of Metal
06. Hymn Of The Damned
07. What War Left Behind
08. Fist In Your Face
09. Insane Pain
10. Zombie Dance